quarta-feira, 27 de junho de 2018

Francesco Baracca

LINKIESTA
30 Giugno 2013

Francesco Baracca, eroe dei cieli o suicida?

Nel giugno 1918 veniva abbattuto.

(Alessandro Marzo Magno)

Gli eroi sono sempre giovani e belli, e fin qua ci siamo. E poi non si suicidano, altrimenti che eroi sarebbero (tanto più in un Paese cattolico, dove fino a qualche tempo fa ai suicidi veniva negata la sepoltura in terra consacrata). E da questo punto di vista Francesco Baracca potrebbe avere qualche problemino.

L'eroe, l'asso dell'aviazione italiana prima ancora che l'Aeronautica fosse stata inventata (Baracca, come molti piloti, era un ufficiale di cavalleria, al tempo si pensava che duellare nell'aria fosse un po' come duellare lancia in resta in sella a un destriero), con 34 vittorie al suo attivo, quel 19 giugno 1918 forse non è stato ucciso da un aereo nemico, o dal proiettile sparato da un cecchino austroungarico, ma da un colpo della sua pistola, suicida per non morire arso vivo, orrida fine di molti, moltissimi, piloti.

Baracca quel giorno volava sul Montello, un salsiccione sopraelevato che domina un tratto del fiume Piave. Era in corso la battaglia del Solstizio, ovvero l'evento che ha davvero deciso le sorti della Prima guerra mondiale: l'Austria-Ungheria in quell'offensiva sul far dell'estate si era giocata il tutto per tutto. Aveva gettato sul Piave tutto quello che poteva (poco) contando di arrivare a Treviso in paio di giorni e a Venezia subito dopo. Ma Vienna non si rendeva conto che l'esito risultava minato fin dal principio, per due motivi: i contrasti tra i comandanti e perché le truppe erano - letteralmente - alla fame. Il fronte montano era affidato a Franz Conrad von Hötzendorf, ex capo di stato maggiore, rimosso dall'imperatore Carlo e mandato a comandare l'area del Trentino, dell'altipiano di Asiago e del Grappa. La pianura, invece, era assegnata a Svetozar Borojevic von Bojna - un serbo di Krajina - detto "il Leone dell'Isonzo" perché per due anni ha comandato il fronte meridionale, che gli italiani chiamano Carso e gli austriaci Isonzo, resistendo senza perdere troppo terreno a undici battaglie e vincendo quella decisiva, la dodicesima, che gli italiani conoscono come Caporetto. Conrad vuole attaccare in montagna, Boroevic in pianura (ognuno vuole la gloria per sé, ovviamente). Vienna invece di puntate sull'una o l'altra opzione, e concentrare tutte le proprie forze, decide di non scontentare nessuno dei prestigiosi comandanti (l'Austria è l'Austria) e quindi l'offensiva comincerà in montagna, tra l'Astico e il Piave, e poi, in caso di esito negativo, continuerà in pianura. Ovvero: le forze vengono disperse la battaglia è persa prima ancora di cominciare.

- - -
Ma ora torniamo a Baracca. Gli austriaci nel settore del Montello erano riusciti a passare il Piave e avevano preso la cittadina di Nervesa. Gli aerei italiani mitragliavano i nemici a bassa quota. Lo Spad del maggiore Baracca cade in località Busa delle rane, un posto impervio e dalla vegetazione fittissima. Gli austriaci non se ne curano e gli italiani - che sanno chi era ai comandi dell'aereo colpito - raggiungono il corpo dell'asso solo alcuni giorni dopo, il 23, quando le truppe dell'imperatore erano ormai tornate al di là del Piave.

Baracca risulta essere stato ucciso da un colpo nell'incavo dell'occhio destro, alla radice del naso. Il punto è: partito da quale arma? L'abbattimento del velivolo era stato rivendicato sia dai piloti austriaci Arnold Barwig e Max Kauer, sia da un cecchino che aveva detto di aver sparato all'aereo dall'alto di un campanile, oppure potrebbe esser stato abbattuto da fuoco antiaereo, come avrebbero stabilito studi più recenti. Rimane però sempre in piedi l'ipotesi che si sia suicidato. Durante la Prima guerra mondiale i piloti non avevano paracadute («ne diminuirebbe l'ardimento», decretarono i generali più stupidi che la storia ricordi) e quindi, se non erano colpiti direttamente, erano destinati a una morte orrenda: bruciati vivi nell'aereo in fiamme. Baracca aveva scritto qualche tempo prima che non intendeva morire in quel modo e che, se fosse precipitato, si sarebbe sparato. Si dà il caso però che lo Spad con il cavallino rampante prenda fuoco solo in parte e il cadavere del pilota sia ritrovato intatto.

La pistola del maggiore di cavalleria divenuto aviatore non è nella fondina. Il foro di entrata del proiettile è nettamente più piccolo degli squarci provocati dai proiettili di mitragliatrice che hanno colpito e abbattuto l'aereo. Ma il più fulgido eroe italiano non può essersi suicidato: il suicidio, nella mentalità di allora, è un atto di vigliaccheria, non di eroismo, quindi si dà inizio a una grande operazione di propaganda per nascondere la verità. Baracca, già celebrato in vita, da morto viene quasi santificato. Ai funerali, a Lugo di Romagna, suo paese natale, partecipa l'erede al trono, e subito comincia la costruzione del mito che dura ancora ai giorni nostri, con strade, piazze e persino stadi (a Mestre) e squadre di calcio (il Baracca Lugo) dedicate all'eroe caduto in battaglia.

Studi recentissimi mettono in forse anche la tesi del suicidio, la ferita sulla fronte non sarebba di arma da fuoco, ma da impatto. Ovvero Baracca sarebbe riuscito in qualche modo ad atterrare, avrebbe preso un colpo tremendo sotto l'occhio, sarebbe riuscito a uscire dalla carlinga e ad allontanarsi dall'aereo prima che bruciasse, per poi morire poco lontano, probabilmente a causa di un'emorragia interna. Tante ipotesi, nessuna certezza. Quel che accadde davvero sul cielo del Montello 95 anni fa rimane ancora un mistero.

* * *

A Pinerolo, dal 1909 al 1910, Francesco Baracca frequenta la scuola di cavalleria presso il 2° Reggimento "Piemonte Reale" fondato nel 1692 dal Duca di Savoia col motto "Venustus et Audax". Si tratta di uno dei più prestigiosi reparti dell'esercito italiano e come stemma araldico porta il cavallino rampante argenteo su campo rosso, guardante a sinistra e con la coda abbassata.

Francesco Baracca sceglie di adottare, apportando delle varianti, lo stesso stemma del "Piemonte Cavalleria" quale emblema personale per rivendicare le personali origini militari e l'amore per i cavalli.

Il cavallino non appare sui primi aerei pilotati dall'Asso degli assi, ma solo a partire dal 1917 quando viene costituita la 91^ Squadriglia Aeroplani, reparto che avrà in dotazione i più recenti caccia forniti dall'alleato francese: il Nieuport 17 ed alcuni SPAD VII e XIII. Sul lato destro della fusoliera di questi velivoli i piloti usano applicare le loro insegne personali e Baracca adotta come proprio questo cavallino rampante mutandolo da argenteo in nero per farlo spiccare maggiormente rispetto al colore della fusoliera.

E' ormai provato che il cavallino è sempre stato nero, però guardante verso destra, come è testimoniato da un pannello multistrato dipinto, esistente nelle collezioni, sicuramente antecedente la morte di Baracca.

A Ravenna, quando Enzo Ferrari, il 16 giugno 1923, guidando l'Alfa Romeo RL-Targa Florio insieme a Giulio Ramponi, vince il primo Circuito del Savio, incontra il conte Enrico Baracca, padre di Francesco, già conosciuto qualche tempo prima a Bologna. Da quel secondo incontro, come lo stesso Ferrari scrive il 3 luglio 1985 allo storico lughese Giovanni Manzoni, nasce quello successivo con la madre, contessa Paolina Biancoli. "Fu essa a dirmi un giorno" - scrive il costruttore di Maranello - "Ferrari, metta sulle sue macchine il cavallino rampante del mio figliolo. Le porterà fortuna" (...) "Conservo ancora la fotografia di Baracca, con la dedica dei genitori con cui mi affidano l'emblema" - conclude Ferrari - "Il cavallino era ed è rimasto nero; io aggiunsi il fondo giallo canarino che è il colore di Modena."

Secondo autorevoli testimonianze, all'origine della scelta di Enzo Ferrari, vi sarebbero l'amore per la poesia di Giovanni Pascoli e la sua ammirazione per la figura di Baracca, maturata nel corso dell'adolescenza.

Dopo aver corso per la casa del Portello, nel 1927 Ferrari ne diviene concessionario per l'Emilia-Romagna e le Marche, con sede a Modena. Per due anni Ferrari vende auto, organizza corse e pilota egli stesso quelle vetture: auto sulle quali non appare ancora il mitico cavallino, che si legherà inscindibilmente al nome di Enzo Ferrari dal 1929 con la nascita della scuderia Ferrari e l'adozione del cavallino quale proprio simbolo. L'effettiva comparsa sulle Alfa Romeo della Scuderia Ferrari avviene solamente il 9 luglio 1932 alla 24 ore di Spa-Francoschamps in Belgio.


Fontes:
http://www.linkiesta.it/it/article/2013/06/30/francesco-baracca-eroe-dei-cieli-o-suicida/14743
http://www.museobaracca.it/Il-Cavallino-Rampante

Mais:
http://www.youtube.com/playlist?list=PLrWPsj6fVbeVoUzfzT_H7niWWuwSjOImA
http://www.istrit.org/download/Francesco_Baracca.pdf
http://www.avia-it.com/1_Baracca/Baracca_Memorie.pdf

domingo, 24 de junho de 2018

História de um alemão

Trechos de História De Um Alemão: Memórias 1914-1933 (1940), de Sebastian Haffner.


El estallido de la Primera Guerra Mundial, con el que la etapa consciente de mi vida comenzó de golpe y porrazo, me pilló como a la mayoría de europeos: en plenas vacaciones de verano. Lo diré de entrada: la frustración de estas vacaciones fue la peor consecuencia que toda la guerra pudo tener en mi persona.

Aquel primero de agosto de 1914 acabábamos de decidir no tomarnos en serio todo aquello y quedarnos disfrutando del veraneo. Estábamos en una finca muy recóndita, situada en Pomerania Ulterior, entre bosques que yo, un pequeño escolar, conocía y amaba como ninguna otra cosa en el mundo.

- - -
Durante los días previos habían sucedido cosas inquietantes. El periódico traía algo inexistente hasta entonces: titulares. Mi padre lo leía durante más tiempo que de costumbre; al hacerlo, mostraba un semblante preocupado e insultaba a los austríacos cuando terminaba de leer. En una ocasión el titular decía: «¡Guerra!». Yo oía constantemente palabras nuevas cuyo significado desconocía y pedía que me explicaran con un montón de rodeos: «ultimátum», «movilización», «alianza», «entente». Un mayor que vivía en la misma finca y con cuyas dos hijas yo estaba en pie de guerra recibió de pronto un «mandato», otra de esas palabras nuevas, y partió aprisa y corriendo. También uno de los hijos de nuestro hostelero fue llamado a filas. Todos corrieron unos metros tras el carruaje de caza que le conducía a la estación y gritaron: «¡Sé valiente!», «¡Cuídate!», «¡Vuelve pronto!». Uno exclamó: «¡Machaca a los serbios!», ante lo cual yo, pensando en lo que mi padre solía manifestar tras leer el periódico, grité: «¡Y a los austríacos!». Me quedé muy sorprendido al ver que todos se echaron a reír.

- - -
Es sabido que por aquel entonces no existía la radio aún y el periódico llegaba a nuestros bosques con veinticuatro horas de retraso. Además traía mucha menos información de la que suele venir hoy en los diarios. Los diplomáticos de entonces eran mucho más discretos que los de ahora...

- - -
Jamás olvidaré aquel primero de agosto de 1914, y el recuerdo de ese día siempre me provocará una profunda sensación de tranquilidad, de tensión aliviada, de «todo irá bien». Así de extraña puede resultar la «experiencia de la historia».

- - -
No tenía ni idea de que fuera posible mantenerse al margen de aquella locura festiva generalizada. Ni de lejos se me pasó por la cabeza la idea de que pudiera haber algo de malo o peligroso en una cosa que causaba una felicidad tan obvia y regalaba aquellos estados de alegre embriaguez tan poco frecuentes. El caso es que, por aquel entonces, para un niño que viviese en Berlín una guerra era, evidentemente, algo en extremo irreal: tan irreal como un juego. No había ataques aéreos ni bombas. Había heridos, pero sólo a distancia, con vendajes pintorescos. Teníamos a familiares en el frente, eso es cierto [...]. Lo que era realmente duro y sensiblemente desagradable no contaba demasiado. ¿Que la comida estaba mala?, pues bueno. Más adelante también fue escasa.

- - -
De niño fui de hecho un entusiasta de la guerra, del mismo modo que es posible ser un entusiasta del fútbol. [...] Yo no odiaba a los franceses, ingleses ni rusos, del mismo modo que los seguidores del Portsmouth no «odian» a los del Wolverhampton. Naturalmente que deseaba que fueran derrotados y humillados, pero era sólo porque representaban la otra cara inevitable de la victoria y el triunfo de mi equipo. Lo importante era la fascinación que ejercía el juego de la guerra: un juego en el que, según reglas secretas, el número de prisioneros, los territorios invadidos, las fortalezas conquistadas y los barcos hundidos desempeñaban aproximadamente el mismo papel que los goles en el fútbol o los «puntos» en el boxeo. No me cansaba de organizar interiormente tablas de clasificación. [...] Era un juego oscuro, secreto, que poseía un encanto infinito y vicioso que extinguía todo lo demás, anulaba la vida real y tenía un efecto narcótico como la ruleta o el opio.

- - -
El alma colectiva y el alma infantil reaccionan de forma muy parecida. Los conceptos con los que se alimenta y se moviliza a las masas nunca serán lo suficientemente infantiles. Para que las verdaderas ideas se conviertan en fuerzas históricas capaces de influir a las masas en general se han de simplificar primero hasta el punto de que las pueda comprender un niño.

- - -
De toda la generación que estuvo en el frente han salido pocos nazis auténticos [...]. Los eternos combatientes, quienes a pesar de todos los horrores encontraron en la realidad de la guerra su forma de vida y siguen haciéndolo aún hoy, y las eternas «existencias fracasadas», aquellos que precisamente vivieron y viven el terror y la destrucción causados por la guerra con júbilo, como una especie de venganza contra una vida que les viene grande. [...] La auténtica generación del nazismo son los nacidos en la década que va de 1900 a 1910, quienes, totalmente al margen de la realidad del acontecimiento, vivieron la guerra como un gran juego.

- - -
En las tiendas en las que hacía cola para comprar sucedáneos de miel y de leche desnatada -mi madre y la criada no daban abasto con todo ellas solas, así que también yo tenía que guardar cola de vez en cuando-, oía a las mujeres quejarse y pronunciar palabras malsonantes dando muestras de una gran disconformidad. No siempre me contentaba con escuchar: en ocasiones alzaba sin miedo mi voz infantil, aún bastante aguda, y peroraba sobre la necesidad de «resistir». La mayoría de las veces las mujeres primero reían, luego se sorprendían y, de cuando en cuando, lograban conmoverme volviéndose inseguras e incluso apocadas. Yo abandonaba victorioso el campo de batalla dialéctico, balanceando absorto un cuarto de litro de leche desnatada... Sin embargo, los partes de guerra no iban a mejorar.

Y entonces, a partir de octubre, empezó a avecinarse la revolución. Ésta fue preparándose poco a poco, como la guerra, con palabras y conceptos nuevos que de repente zumbaban en el aire y, lo mismo que la guerra, al final la revolución llegó casi por sorpresa.

- - -
El estallido bélico, a pesar de las terribles secuelas, estuvo asociado para la mayoría a unos días inolvidables de máxima exaltación y vida intensa, mientras que la Revolución de 1918, que fue en definitiva la que trajo la paz y la libertad, en realidad dejó recuerdos sombríos a casi todos los alemanes. Este contraste tuvo un efecto funesto sobre toda la historia alemana que estaba aún por llegar. Tan sólo la circunstancia de que la guerra hubiese estallado cuando hacía un tiempo de verano magnífico y la revolución surgiera bajo la niebla húmeda y fría de noviembre fue un duro handicap para esta última. Probablemente esto sonará ridículo, pero es cierto. Los republicanos pudieron comprobarlo por sí mismos más adelante [...] Noviembre de 1918: aunque la guerra estaba acabando, las mujeres recuperaron a sus maridos y los maridos sus vidas; es curioso que a esta fecha no vaya unido ningún regusto festivo, sino todo lo contrario: una sensación de malhumor, derrota, miedo, tiroteos absurdos, confusión y encima mal tiempo.

Personalmente no me di mucha cuenta de la verdadera revolución. El sábado el periódico anunció que el káiser había abdicado. En cierto modo me sorprendió que viniera tan poca información. Sólo se trataba de un titular y durante la guerra los había visto mucho más grandes.

- - -
Bastante más estremecedor que el titular «El káiser abdica» fue el hecho de que el domingo el periódico Tägliche Rundschau se llamó de repente Die Rote Fahne. El cambio había sido impuesto por unos revolucionarios que trabajaban en la imprenta. Por lo demás el contenido había sufrido pocas modificaciones y, al cabo de unos días, el periódico volvió a llamarse Tägliche Rundschau. Un leve rasgo que no deja de ser simbólico en cuanto a la Revolución de 1918.

Aquel domingo fue también la primera vez que oí un tiroteo. Durante toda la guerra jamás había escuchado ningún disparo. Pero ahora, como la guerra estaba finalizando, en Berlín empezaban a disparar. Estábamos en uno de los cuartos interiores, abrimos las ventanas y escuchamos lejana pero claramente el fuego entrecortado de unas ametralladoras. Me sentí angustiado. Alguien nos explicó cómo sonaban las ametralladoras ligeras a diferencia de las pesadas.

Especulamos sobre el tipo de combate que estaría librándose. El tiroteo procedía de la zona de palacio. ¿Acaso la guarnición de Berlín estaba oponiendo resistencia en contra de lo esperado? ¿Tal vez la revolución no estaba resultando tan fácil como parecía?

- - -
Se había tratado de un tiroteo bastante absurdo entre varios grupos revolucionarios, cada uno de los cuales se arrogaba el derecho de ocupar las caballerizas. No había ni rastro de la menor resistencia. Era evidente que la revolución había triunfado.

Por otra parte, ¿qué significaba aquello? ¿Al menos un estado de caos festivo, todo patas arriba, aventuras y anarquía colorista? Nada de eso. Es más, aquel mismo lunes el más temido de nuestros profesores, un tirano colérico que revolvía sus ojillos maliciosos, explicó que «aquí», es decir, en el colegio, sí que no había habido ninguna revolución, que allí seguía imperando el orden y, para corroborarlo, puso a algunos alumnos sobre el banco -aquellos que habían destacado especialmente mientras jugábamos a la revolución durante el recreo- y les propinó una buena y significativa tunda. Todos los que asistimos a la ejecución de la pena tuvimos la oscura impresión de que aquello era un símbolo que auguraba algo peor y de mayor envergadura. Algo fallaba en la revolución si, ya al día siguiente, en el colegio pegaban a los chicos por jugar a sublevarse. Una revolución así no podía llegar a ninguna parte. Y, efectivamente, no llegó a ningún sitio.

- - -
El 11 de noviembre, cuando me presenté en la comisaría de mi distrito a la hora habitual ya no había ningún parte de guerra clavado en el tablón. Éste se abría negro y vacío ante mí y entonces imaginé aterrado qué ocurriría cuando, allí donde había alimentado mi espíritu diariamente durante años y donde había llenado de contenido mis sueños, no hubiese más que un tablón de anuncios vacío por siempre jamás. Pero, entretanto, seguí caminando. Tenía que haber alguna noticia procedente de los escenarios de batalla. Ya que la guerra había acabado (eso parecía evidente), al menos el final debía haberse producido, algo parecido al toque de silbato con el que termina un partido.

- - -
En algún lugar me encontré con un montón de gente apelotonada ante el escaparate de una tienda de periódicos. Me puse a la cola, fui abriéndome paso lentamente y, al final, pude ver lo que todos leían malhumorados y silenciosos. Lo que estaba expuesto era un periódico de edición temprana con el siguiente titular: «Firmado el alto el fuego». Debajo figuraban las condiciones, una larga lista. Las leí. Mientras lo hacía me quedé atónito.

- - -
Al igual que aquellas calles, todo el mundo se había vuelto extraño e inquietante a mis ojos. Era evidente que el gran juego, además de las reglas fascinantes por mí conocidas, había tenido otras secretas que se me habían escapado. Había habido algo de falso y engañoso. Pero, ¿a qué agarrarse, dónde encontrar la seguridad, en qué creer y confiar si los acontecimientos históricos eran tan alevosos, si una victoria tras otra no conducía más que a la derrota definitiva y las verdaderas reglas de lo que ocurría no se divulgaban, sino que se descubrían a posteriori, en forma de un resultado aplastante? Me encontraba ante un abismo. Sentí pavor ante la vida.

- - -
Un día no había electricidad, otro no circulaban los tranvías, pero seguía sin estar claro si teníamos que quemar petróleo en favor de los espartaquistas o del Gobierno o bien ir andando. Nos llenaban las manos de octavillas y leíamos carteles cuyo titulo rezaba: «¡La hora del ajuste de cuentas está cerca!», pero primero había que hacer el esfuerzo de leer largos párrafos repletos de insultos y reproches inextricables antes de poder darnos cuenta de si las palabras «traidores», «asesinos de los obreros», «demagogos sin escrúpulos», etc., se referían a Ebert y Scheidemann o bien a Liebknecht y Eichhorn.

- - -
Habíamos superado el gran juego de la guerra y la conmoción de su desenlace, también un aprendizaje político muy frustrante en materia de revolución y, ahora, la representación diaria del colapso de todas las leyes de vida y de la bancarrota de la edad y la experiencia. Ya habíamos abrazado toda una serie de creencias contradictorias. Primero fuimos pacifistas durante un tiempo, luego nacionalistas, más adelante nos sometimos a la doctrina marxista (proceso éste que tiene mucho en común con el de iniciación sexual: ambos son oficiosos y tienen algo de ilegal, ambos utilizan un método educativo de choque y cometen el error de tomar una parte importante, pero reprobada por la opinión pública e ignorada en virtud de la decencia tradicional, por el todo: el amor en un caso y la historia en el otro).

quarta-feira, 20 de junho de 2018

Patton

Patton Trechos de Patton: O Herói Polêmico Da Segunda Guerra (2011), de João Fábio Bertonha.


Promovido a capitão em maio de 1917, [George S.] Patton fez o que pôde para ser incluído na primeira unidade que seguiria para a Europa. Para a sua sorte, o comandante dessa unidade (e de toda a Força Expedicionária Americana) seria o general John Pershing, com o qual mantinha um relacionamento estreito desde a experiência comum no México (e também pelo fato de o general estar flertando com a irmã de Patton naquele momento). Assim, não foi difícil para Patton conseguir ser incorporado à unidade de Pershing.

[...] os americanos chegaram ao território britânico e seguiram para Londres, onde foram festivamente recebidos pelos exaustos britânicos, e, em seguida, para a França.

- - -
Com a esmagadora maioria das tropas ainda em seleção e treinamento nos EUA, oficiais como Patton tinham pouco a fazer. Na Europa, ele participava de eventos sociais, fazia visitas a tropas e oficiais britânicos e franceses, entre outras atividades distantes do calor da batalha. Pôde, entretanto, sentir o gosto da guerra moderna, ao ver aviões alemães bombardeando unidades aliadas e sendo recebidos por fogo de metralhadoras e canhões antiaéreos ou ao observar o efeito dos bombardeios de artilharia nos campos e nos soldados feridos.

Chateado por não poder agir imediatamente, Patton pensava em pedir transferência para outra unidade ou se tornar instrutor de baionetas. Foi nessa época que ele ouviu, pela primeira vez, a palavra "tanques", designação de uma nova arma que mudaria o curso da guerra no século XX e a carreira do jovem capitão.

- - -
Num certo sentido, a Primeira Guerra Mundial representou, em termos militares, o encontro do velho e do novo. Ao mesmo tempo em que cavalos e mulas ainda formavam parte substancial do sistema logístico dos exércitos, transportando armas e suprimentos, a velha cavalaria revelou-se inútil. Pombos-correios ainda eram utilizados para as comunicações, ao mesmo tempo em que o rádio e o telégrafo também eram largamente empregados. Lança-chamas, minas e submarinos foram desenvolvidos e melhorados, mas ainda se confiava muito nos encouraçados e nos dirigíveis.

- - -
Enquanto muitos generais acreditavam que os tanques só pudessem servir para facilitar a penetração da infantaria, por vias tradicionais, nas linhas inimigas ou, ainda, para abrir uma brecha a ser explorada pela cavalaria, Patton já antevia as possibilidades revolucionárias do novo armamento como forma de golpear decisivamente o inimigo em ataques profundos e mortíferos.

[...] num primeiro momento, o fator principal que o motivou a se transferir para o novo corpo, o dos blindados, foi a possibilidade de ascensão em termos de carreira militar numa arma totalmente nova, diferente da infantaria ou da artilharia.

- - -
Já em novembro, ele se inscreveu no centro de treinamento em tanques leves do Exército francês em Compiègne. Lá, durante um curso de duas semanas, aprendeu o básico sobre as novas máquinas, dirigiu um modelo Renault e começou a compreender os mistérios e os desafios da nova arma. Em dezembro, visitou a fábrica da Renault em Paris, quando já foi capaz de fazer várias sugestões técnicas, as quais foram aceitas pelos franceses.

Na mesma época em que Patton estudava em Compiègne, o Exército britânico realizava o já mencionado ataque a Cambrai: 378 tanques Mark IV atacaram um setor da linha principal de defesa alemã, avançando, em poucas horas, quatro milhas, mais do que os ataques maciços de infantaria tinham conseguido em quatro meses. Mais da metade dos veículos foram perdidos nesse meio tempo e ficou claro como o seu uso tinha que ser aperfeiçoado. Contudo, o potencial da arma ficou demonstrado e num momento muito propício para Patton, que agora estava na posição de ser um dos criadores do corpo de tanques do Exército dos Estados Unidos.

[...] Porém, demorou para que fosse formado o primeiro batalhão, e apenas em junho surgiu um segundo, permitindo a criação de uma brigada, a 304ª.

- - -
Em setembro, o corpo de tanques foi convocado para participar do ataque contra o saliente de Saint-Mihiel, um bolsão de 25 milhas de largura e 15 de profundidade nas linhas aliadas. Para o assalto, a brigada contava com 144 tanques Renault franceses. O Exército francês forneceu também dois grupos de tanques de apoio.

Em 12 de setembro, os tanques e a infantaria americanos atacaram as trincheiras alemãs, enfrentando tanto a resistência germânica como a chuva e a lama. Muitos quebraram ou ficaram impossibilitados de prosseguir por conta das dificuldades do terreno e da falta de combustível. Mesmo assim, o corpo blindado conseguiu, com poucas perdas, apoiar o avanço da infantaria.

- - -
Poucos dias depois, a brigada de Patton recebeu ordens de apoiar a 28ª e a 35ª divisões do Primeiro Exército americano num ataque na região do Meuse-Argonne, contra a linha Hindenburg, defesa principal dos alemães na Frente Ocidental. Procurando resolver os problemas identificados no ataque anterior, ele fez com que seus tanques carregassem combustível extra e, seguindo a sugestão de um soldado, criou unidades de mecânicos que acompanhavam os blindados na linha de frente, providenciando reparos menores quando necessário e recolocando os tanques rapidamente em condição de combate.

Em 26 de setembro, o ataque foi lançado. Toda a participação de Patton, na verdade, não levou mais do que um dia. Às 5h30 da manhã, a infantaria havia marchado para frente em meio à neblina e fumaça. Uma hora depois, Patton e alguns soldados seguiram para a linha de frente e encontraram cinco de seus tanques parados, por serem incapazes de atravessar algumas trincheiras alemãs, bloqueadas por um tanque danificado. Sob pesada artilharia alemã, Patton, então, dirigiu as operações para superar esse obstáculo e logo os veículos subiram a colina, na direção dos alemães.

Animado, Patton liderou uma força de cerca de 150 homens na mesma direção, mas esta foi recebida por pesado fogo alemão. A maioria dos americanos recuou, mas Patton e alguns soldados seguiram em frente, sendo quase todos abatidos pelas metralhadoras germânicas, até que apenas o próprio Patton e o soldado Joseph T. Angelo restassem em pé.

Continuando a avançar, Patton foi atingido por uma bala que atravessou sua perna esquerda e parte do quadril. O soldado Angelo levou o tenente-coronel para um buraco e ficou com ele mais de uma hora, até que os tanques eliminaram as metralhadoras alemãs e Patton pôde ser removido para um hospital de campo. Lá, ele recebeu a notícia da sua promoção a coronel e, em pouco tempo, recuperou-se dos ferimentos.

Em 11 de novembro de 1918, o Armistício foi assinado e as armas pararam de atirar em todo o continente europeu. A 304ª havia lutado por quase dois meses.

- - -
Enquanto esperava sua vez de voltar, Patton se preocupava com questões pessoais, como seu desejo de receber condecorações (como a Distinguished Service Medal, que foi concedida a ele em 4 de dezembro) e seu futuro em tempos de paz. Agora que a guerra havia terminado, o Exército haveria de ter, inevitavelmente, seu efetivo diminuído.

- - -
Pouco depois da sua chegada aos EUA, Patton já demonstrava, em cartas e documentos pessoais, o quanto sentia falta da excitação do combate, do barulho das explosões e do ruído das metralhadoras. Para um homem que se sentia mais vivo do que nunca liderando soldados em combate e enfrentando a morte, nada poderia ser pior do que a paz. Ele ansiava por uma nova oportunidade de ser guerreiro.

Tal oportunidade, contudo, demoraria a chegar e, naquele momento, o que lhe restava era continuar sua carreira no Exército. Já no início dos anos 1920, conheceu outro jovem oficial cujo nome seria muito famoso nas décadas a seguir, o futuro comandante em chefe das Forças Aliadas na Europa e presidente dos EUA, o então coronel Dwight D. Einsenhower.

Os dois coronéis tinham muitas coisas em comum. Ambos voltaram ao grau de capitão em 1920, perdendo a promoção temporária da época da guerra. Ambos também apreciavam equitação e a prática do tiro e questionavam com severidade o sentimento antiguerra que varria os Estados Unidos naquele momento e que levava o Congresso a planejar intensos cortes no orçamento militar.

- - -
A experiência dos tanques na Primeira Guerra Mundial havia indicado a imensa potencialidade deles, mas não a ponto de gerar uma adesão consensual de todos os militares à guerra blindada. Não espanta, na verdade, que a disputa entre defensores e opositores dos tanques e blindados como instrumentos de guerra ainda estivesse tão intensa, e não apenas nos Estados Unidos, naqueles anos. De fato, tendo entrado em ação apenas no final do conflito, com claras limitações técnicas e de doutrina e com resultados limitados, a arma blindada não podia se vangloriar de ter decidido a guerra ou de ter colaborado decisivamente para a derrota da Alemanha, como podiam fazer a infantaria ou a artilharia. Isso levou muitos oficiais a pensarem que os tanques eram algo superado ou secundário.

- - -
Em 1922, Patton publicou um artigo no qual comentava as ações da cavalaria britânica na guerra do deserto em 1917 e 1918 e defendia o valor das cargas de cavalaria e dos sabres nos conflitos modernos.

- - -
Patton acreditava que havia um excesso de confiança, no Exército, sobre as vantagens da mecanização. Patton tinha ojeriza à ideia de que as guerras eram vencidas pelas máquinas e pela superioridade tecnológica. Para ele, eram os homens e a força de vontade que levavam à vitória, e não os instrumentos. Seu raciocínio, em boa medida, se baseava na análise histórica e na premissa de que toda inovação tecnológica trazia, inevitavelmente, uma resposta, a qual anulava suas vantagens, permanecendo, como princípios decisivos da guerra, a coragem e a determinação.

[...] Além disso, Patton valorizava o Exército profissional em detrimento das grandes massas de recrutas. Acreditava no "espírito de luta" e no guerreiro enquanto profissional e não no simples "cidadão em armas". No seu trabalho de conclusão de curso apresentado ao Army War College em 1932, ele utilizou conhecimentos de história para argumentar que exércitos profissionais (como o macedônio ou o romano antigo) foram capazes de derrotar forças muito mais numerosas, mas pouco treinadas e motivadas, já que contavam com habilidade técnica e dedicação. Recordando o exemplo da guerra de 1914-1918, argumentou que ela tinha sido uma exceção, motivada pela criação de novas armas que tinham levado à paralisia nas trincheiras e à necessidade de mobilizar milhões de civis. Para ele, o próximo conflito voltaria ao padrão "normal" da história, com pequenos exércitos profissionais móveis.

Claro que, com o olhar de hoje, é fácil saber que Patton estava errado e que, menos de uma década depois, grandes exércitos de recrutas, com milhões de homens, se enfrentariam em campo. Patton, aliás, seria justamente o comandante de um desses exércitos. Mas, naquele momento, suas conclusões eram, em essência, um palpite ilustrado pelos seus conhecimentos de História Militar, e tão válidos como qualquer outro.


Mais:
http://docs.google.com/file/d/0BxwrrqPyqsnILTBBdmpCSjJudXM
http://en.wikipedia.org/wiki/Douglas_MacArthur#World_War_I
http://www.dailymotion.com/video/x3l0rk9

domingo, 17 de junho de 2018

O tempo recuperado

Trechos de O Tempo Recuperado (1927), de Marcel Proust.


Regressei, então, a uma Paris bem diversa, como em breve se verá, daquela a que regressara uma primeira vez, em agosto de 1914, para sofrer um exame médico, após o qual me recolhera de novo ao sanatório. Numa das primeiras noites de meu novo retorno, em 1916, tendo vontade de ouvir falar da única coisa que então me importava, a guerra, saí depois do jantar para fazer uma visita à Sra. Verdurin, pois ela estava com a Sra. Bontemps. Como que pela ação de um fermento, em aparência de geração espontânea, as moças andavam todas com altos turbantes cilíndricos como o faria uma contemporânea de Madame Tallien. Trazendo, por civismo, túnicas egípcias retas, escuras, à maneira militar, muito curtas, calçavam sapatos atados por correias, lembrando o coturno de longas polainas de nossos caros combatentes; porque não se esqueciam de seu dever de alegrar os olhos desses combatentes, diziam, era que se enfeitavam não só de vestidos "flutuantes", mas também de joias, cujos decorativos evocavam o exército mesmo quando o material não procedia dele, nem nele fora trabalhado. Em vez de ornatos egípcios que lembrassem a campanha do Egito, viam-se anéis e braceletes feitos com fragmentos de canhões [...]; quando morria um dos seus, mal punham luto, ao pretexto de "mescla de orgulho", o que permitia um bonezinho branco de crepe do mais gracioso efeito e que "autorizava todas as esperanças", na invencível certeza do triunfo definitivo.

O Louvre e todos os museus estavam fechados, e, quando se lia na manchete de um jornal: "Uma exposição sensacional", podia-se ter certeza de que tratava de uma exposição, não de quadros, mas de vestidos; [...] assim procediam em 1916 os costureiros, com uma orgulhosa consciência de artistas, que confessavam "buscar a novidade, afastar a vulgaridade, afirmar a personalidade, preparar a vitória, encontrar para as gerações do pós-guerra uma nova fórmula do belo"; tal era a ambição que os animava, a quimera que perseguiam, conforme se poderia constatar indo a seus salões deliciosamente instalados na rua da ..., onde a palavra de ordem era apagar, com um tom luminoso e alegre, as pesadas tristezas da ocasião, mas com a discrição imposta pelas circunstâncias.

- - -
Quanto à caridade, pensando em todas as misérias nascidas da invasão, em tantos mutilados, era bem natural que esta devesse tornar-se mais engenhosa ainda, o que obrigaria as senhoras de altos turbantes a passar o fim da tarde nos chás, ao redor de uma mesa de bridge, comentando as notícias do front, enquanto à porta esperavam-nas seus automóveis, em cujo assento um belo militar conversava com o lacaio. Aliás, não eram novos apenas os chapéus cujos estranhos cilindros encimavam os rostos. Os próprios rostos o eram também. Essas damas de chapéus novos eram mulheres jovens chegadas não se sabia bem de onde, e que eram a flor da elegância [...]. A dama que conhecia os Guermantes desde 1914 encarava como uma arrivista aquela que lhe apresentavam na casa deles em 1916, cumprimentava-a com certa distância, examinava-a com seu lorgnon e confessava, com um trejeito, que não se sabia ao certo se aquela senhora era casada ou não. "Tudo isso é por demais nauseabundo", concluía a dama de 1914, que desejaria que o ciclo de novas admissões se encerrasse depois dela.

- - -
Ninguém se recordava que ele fora dreyfusista, pois os mundanos são distraídos e esquecidos; também porque havia decorrido muito tempo, que eles afetavam ter sido maior ainda, visto que uma das ideias da moda era dizer que o período anterior à guerra estava separado desta por algo tão profundo e, aparentemente, tão prolongado quanto um período geológico; e o próprio Brichot, o nacionalista, quando aludia ao Caso Dreyfus, comentava: "Naqueles tempos pré-históricos." Na verdade, essa mudança profunda operada pela guerra estava na razão inversa do valor dos espíritos afetados, pelo menos a partir de um certo grau. Nas camadas inferiores, os rematados idiotas e os perfeitos gozadores nem se preocupavam com a guerra. Mas, nos níveis superiores, aos que fazem da vida interior o seu ambiente, pouco lhes importa o vulto dos acontecimentos. O que, para eles, modifica profundamente a ordem dos pensamentos é antes alguma coisa que parece não ter em si qualquer importância e que lhes inverte a ordem cronológica do tempo, tornando-os contemporâneos de outra época de suas vidas.

- - -
O Sr. Bontemps não queria ouvir falar de paz sem que a Alemanha fosse reduzida à mesma fragmentação que na Idade Média, sem que se declarasse a degradação da casa de Hohenzollern, e Guilherme II levasse doze tiros.

- - -
Quando ela dizia: "Vou à casa dos Lévy", todos entendiam, sem que ela precisasse explicar, que se tratava dos Lévis-Mirepoix, e nenhuma duquesa se deitaria sem ouvir da Sra. Bontemps ou da Sra. Verdurin, ao menos por telefone, o que dizia o comunicado da noite, o que fora omitido, e como andavam as coisas na Grécia, qual a ofensiva que se preparava - numa palavra: aquilo que o público só saberia no dia seguinte, ou mais tarde ainda, e de que desse modo, fazia, como os costureiros, uma espécie de exibição privada.

- - -
A Sra. Verdurin dizia:

- Venha às cinco horas falar da guerra -, como outrora "falar do Caso Dreyfus", e, no intervalo: - Venham ouvir Morel.

Ora, Morel não deveria comparecer, pelo simples motivo de que não fora dispensado do serviço militar. Simplesmente não se apresentara, era um desertor, mas ninguém o sabia.

- - -
Desde a guerra, tendo os cronistas mundanos suprimido essas informações, a publicidade só podia existir por meio desse expediente hostil e restrito, digno das eras primitivas e anterior à descoberta de Gutenberg, visto à mesa da Sra. Verdurin. Depois do jantar, subia-se para os salões e então os telefonemas começavam. Mas, naquela época, muitos dos grandes hotéis estavam cheios de espiões que anotavam as notícias transmitidas pela Sra. Bontemps com uma indiscrição felizmente corrigida apenas pela inexatidão dos seus nomes, sempre desmentidos pelos acontecimentos.

Antes da hora em que terminavam os chás, ao cair da tarde, no céu claro, viam-se ao longe pequenas manchas escuras que, no crepúsculo poderiam tomar por mosquitos ou passarinhos. Assim, quando se via uma andorinha muito ao longe, era possível confundi-la com uma nuvem, mas imaginar que essa nuvem é sólida, imensa e resistente. Assim, estava eu comovido por aquela mancha escura no céu estival, que não era nem mosquito nem passarinho, mas um aeroplano tripulado por homens que velavam sobre Paris. A ação dos aeroplanos que eu tinha visto com Albertine no nosso último passeio em Versalhes em nada entrava nessa emoção, pois a lembrança desse passeio se me tornara indiferente.

À hora do jantar, os restaurantes estavam cheios; e, se, passando nestes eu via um pobre soldado de licença, livre por seis dias do risco permanente da morte, e prestes a voltar para as trincheiras, deter seus olhos, por um instante, nas vidraças iluminadas, sofria como no hotel de Balbec, quando os pescadores observavam-me a comer, porém sofria ainda mais por saber que a miséria do soldado era maior que a dos pobres, pois abrangia todas as misérias, sendo mais ainda por ser mais resignada, mais nobre, e conhecia o sacudir filosófico de rosto sem ódio, com o qual, pronto para retornar à guerra, ele murmurava aos embusqués que se acotovelavam para observar as mesas: "Ninguém diria que há guerra por aqui." Depois, às nove e meia, quando ninguém tivera tempo de terminar o jantar, apagavam-se bruscamente todas as luzes, em obediência às ordens da polícia [...], a cena desenrolava-se numa misteriosa penumbra de quarto onde se projeta a lanterna mágica, de sala de espetáculos que serve para exibir os filmes de um desses cinemas para os quais iam precipitar-se os comensais.

- - -
A guerra que faz, nas capitais em que só restam mulheres, o desespero dos homossexuais, será pelo contrário o romance apaixonado dos homossexuais, se estes forem suficientemente inteligentes para imaginarem quimeras, não o bastante para saberem desvendá-las, reconhecer sua origem, e se julgarem. De modo que, quando certos rapazes se engajaram simplesmente por espírito de imitação esportiva (como num determinado ano todos jogam diabolo), para Saint-Loup a guerra foi sobretudo o próprio ideal que ele pensava perseguir em seus desejos muito mais concretos, porém eivados de ideologia, ideal servido em comum com as criaturas que ele preferia, numa ordem de cavalaria puramente masculina, longe das mulheres, onde poderia expor a vida para salvar seu ordenança e morrer inspirando um amor fanático aos seus homens. E assim, conquanto sua coragem abrigasse muitas outras coisas mais, nela se achava o fato de que ele era um fidalgo; e nela se achava, igualmente, sob uma forma irreconhecível e idealizada, a ideia do Sr. de Charlus, que era a de que a essência de um homem nada tem de afeminada.

- - -
Falei a Saint-Loup do meu amigo, o gerente do Grande Hotel de Balbec, que, ao que parece, anunciara terem ocorrido em certos regimentos franceses, no começo da guerra, algumas defecções que ele denominava "defeituosidades", acusando-as de terem sido causadas pelo que chamava de "militarista prussiano". Em dado momento, chegara mesmo a acreditar num desembarque simultâneo de japoneses, alemães e cossacos em Rivebelle, ameaçando Balbec, e dissera que nada mais tinha a fazer senão "raspar-se".

Achava um tanto precipitada a partida dos poderes públicos para Bordéus, declarando que eles tinham feito mal em "raspar-se" tão depressa. Este germanófobo afirmava, rindo, a propósito do irmão:

- Está nas trincheiras, a vinte e cinco metros dos boches! - até que, verificando-se que ele próprio o era, internaram-no num campo de concentração.

- - -
"Os franceses explodiram a pontezinha sobre o Vivonne, a qual, dizia você, não lhe recordava a infância tanto quanto desejaria; os alemães explodiram outras, durante um ano e meio ocuparam uma metade de Combray, e os franceses a outra metade."

- - -
Parecia quase haver algo de cruel nessas licenças dadas aos combatentes. Nas primeiras, dizia-se: "Não hão de querer voltar, desertarão." E não regressavam apenas de lugares que nos pareciam irreais porque só tínhamos ouvido falar deles pelos jornais, e porque não imaginávamos a possibilidade de alguém tomar parte nesses combates titânicos e voltar com apenas uma contusão no ombro; era das margens da morte, às quais voltariam, que eles regressavam; um momento para ficar conosco, incompreensíveis para nós, enchendo-nos de assombro, e de uma sensação de mistério, como esses mortos que evocamos, que nos aparecem por um segundo, que não ousamos interrogar - quando muito, poderiam responder: "Não poderíeis fazer ideia."

- - -
Parecia comprazer-se nessa comparação entre aviadores e Valquírias, explicando-a, de resto, por motivos puramente musicais:

- Ora, é que a música das sirenes era a de uma Cavalgada! Decididamente, é preciso a chegada dos alemães para que se ouça Wagner em Paris.

- - -
Agora, os homens escasseavam, o luto era mais frequente, inútil se tornava impedi-los de saírem de casa, a guerra já o fazia. A Sra. Verdurin se agarrava aos restantes. Queria persuadi-los de que eram mais úteis à França permanecendo em Paris.

- - -
A despeito de si mesmo, a admiração que pudesse ter pela Inglaterra, pela forma notável como entrara na guerra, essa Inglaterra impecável, incapaz de mentira, impedindo que o trigo e o leite entrassem na Alemanha, representava-lhe a nação de homens de bem.

- - -
- Não quero falar mal dos americanos, meu caro - continuou ele -, parece que são inesgotavelmente generosos e, como não houve maestro nessa guerra, cada um tendo entrado na dança a seu tempo, eles, que principiaram quando já estávamos quase no fim, podem mostrar um ardor que quatro anos de guerra já acalmaram em nós. Mesmo antes da guerra, amavam nosso país, nossa arte, pagavam bem caro pelas nossas obras-primas.

- - -
- "Quem não está conosco é contra nós", não sei se tais frases são do imperador Guilherme ou do Sr. Poincaré, pois ambos, com algumas variantes, pronunciam-nas umas vinte vezes, se bem que, para falar a verdade, devo confessar que o imperador, neste caso, tem sido imitador do nosso presidente da República. A França talvez mostrasse tanto empenho em prolongar a guerra se se mantivesse fraca o tempo todo, mas, principalmente, a Alemanha não estaria tão interessada em terminá-la se continuasse a ser forte. [...]

Como um aviador de bombas, ele adquirira o hábito de falar muito alto, mesmo no campo, onde as palavras nunca alcançavam alguém, e sobretudo em sociedade, onde elas caíam ao acaso sobre os interlocutores; e onde era ouvido por esnobismo, por simpatia até, de tanto que os tiranizava, podia-se dizer que por receio. Nos bulevares, além disso, era um sinal de desprezo pelos transeuntes, para os quais nem baixava a voz nem se desviava do caminho. Mas a voz reboava, espantava, e sobretudo dava a entender claramente às pessoas que se viravam para ouvir as frases que nos teriam feito passar por derrotistas.

- - -
A Cruz de Guerra, mesmo ganha em escritórios, bastava para fazer alguém ter assento, numa eleição triunfal, à Câmara dos Deputados, quase na Academia Francesa.

- - -
- Na batalha do Somme, bem que ficou sabendo que começaram por cegar o inimigo, furando-lhe os olhos: destruindo-lhe os aviões e os balões cativos.

- Ah, sim! É verdade.

E como se tornara um tanto pedante desde que só vivia para a inteligência, ele afirmava que os antigos métodos voltariam.

- Sabe que as expedições da Mesopotâmia nesta guerra - (devia ter lido isto, àquela época, nos artigos de Brichot) - evocam a todo instante, sem modificações, a retirada de Xenofonte? E para ir do Tigre ao Eufrates o comandante inglês se serviu de canoas, barcos estreitos e compridos, as gôndolas locais, dos quais já se serviam os mais antigos caldeus.

Estas palavras davam-me com exatidão o sentimento da estagnação do passado que, em certos lugares, por uma espécie de peso específico, imobiliza-se indefinidamente, de modo que é possível recuperá-lo intacto.

- - -
- E foi por tudo isto que ele se alistou, a guerra se lhe afigurou como uma libertação de seus desgostos familiares; se quer a minha opinião, ele não foi morto, deixou-se matar.


Mais:
http://docs.google.com/file/d/0BxwrrqPyqsnIMDZaQTA3Y01wUHc

quarta-feira, 13 de junho de 2018

O regresso do soldado

Trechos de O Regresso Do Soldado (1918), de Rebecca West.


"Ah, não comece a exagerar!", lamentou-se Kitty. "Se uma mulher começar a se preocupar nestes dias porque seu marido não escreve para ela há uma quinzena! Além disso, se ele tivesse estado em algum lugar interessante, em qualquer lugar onde os combates foram realmente intensos, ele teria encontrado alguma maneira de dizê-lo, em vez de simplesmente enviar um 'em algum lugar da França'. Ele ficará bem."

- - -
Ela estava tão parecida com uma garota em uma capa de revista que alguém esperaria encontrar um grande "15 centavos" pregado nela.

- - -
A beleza daquele dia era uma afronta para mim, porque, como a maioria das inglesas do meu tempo, eu desejava o regresso de um soldado. Desconsiderando o interesse nacional e tudo mais, exceto o aguçado e preênsil gesto de nossos corações em relação a ele, eu queria arrancar meu primo Christopher das guerras e isolá-lo nesta amenidade verde para a qual sua esposa e eu agora olhamos. No final, tive sonhos ruins com ele. Durante as noites, vi Chris atravessar correndo a podridão marrom da Terra-de-Ninguém, começando de volta, porque ele pisou uma mão, sem sequer olhar para lá por causa do pavor de uma cabeça não enterrada, e não foi até o meu sonho estar cheio de horror que eu o vi avançar de joelhos e chegar à segurança. Nos filmes de guerra, vi homens escorregarem muito suavemente do parapeito da trincheira, e ninguém, exceto os filósofos mais severos, poderia dizer que alcançaram a segurança por sua queda. E quando escapei para a vigília, foi só para ficar rígida e pensar em histórias que eu tinha ouvido na voz juvenil de um subalterno, a qual soava indomável, mas a maioria de suas notas alegres foi comprimida: "Nós estávamos todos em um celeiro certa noite, quando veio um projétil. Meu companheiro gritou: 'Ajude-me, velho, não tenho pernas!' E eu tive que responder: 'Não posso, velho, não tenho mãos!'" Bem, tais são os sonhos das inglesas atualmente. Eu poderia não reclamar, mas ansiava pelo retorno do nosso soldado. Então eu disse:

"Eu queria poder ouvir algo de Chris. Já são quinze dias desde a última vez que ele escreveu."

E foi então que Kitty lamentou: "Ah, não comece a exagerar!" E inclinou-se sobre sua imagem em um espelho de mão como poderia curvar-se para refrescar-se sobre flores perfumadas.

Tentei construir sobre mim um pequeno globo de conforto como o que sempre a cercava, e pensei em todo o bem que permaneceu em nossas vidas, embora Chris tenha partido.

- - -
Aqui fizemos com que a felicidade fosse inevitável para ele. [...] E lembrei tudo o que ele fez naquela manhã há apenas um ano, pouco antes de ir para o front.

Primeiro ele sentou-se na sala de manhã e conversou e olhou para o gramado que já tinha a desolação de um palco vazio, embora ele ainda não tivesse ido; depois interrompeu-se de repente e vagou pela casa, olhando para dentro de vários quartos. Ele foi ao estábulo e olhou para os cavalos e tirou os cães; ele se absteve de tocá-los ou falar com eles, como se ele se sentisse já infectado com a miséria da guerra e não quisesse contaminar o radiante bem-estar físico dos animais. Então ele foi até o limite do bosque e ficou de pé olhando para os aglomerados de rododendros de folhas escuras e o emaranhado amarelo das samambaias do ano anterior e o frio inverno negro das árvores. (Desta mesma janela eu o espiei). Então ele se dirigiu para a casa para ficar com sua esposa até o momento da sua partida, quando Kitty e eu ficamos de pé nos degraus para vê-lo entrar em um carro para [a estação] Waterloo. Ele beijou a nós duas. Quando ele se curvou sobre mim, notei novamente como seu cabelo era de duas cores, marrom e dourado. Então ele entrou no veículo, pôs o seu ar de Tommy e disse: "Até logo! Escreverei para vocês em Berlim!" e enquanto ele falava, sua cabeça caiu para trás, e ele lançou um olhar rígido para a casa. Aquilo significava, eu sabia, que ele amava a vida que ele tinha vivido conosco e desejava levar com ele, para o medonho lugar de morte e de sujeira, a lembrança completa de tudo sobre sua casa, na qual sua mente poderia tocar quando as coisas estivessem em seu pior, como um homem pode apalpar um amuleto através da camisa. Esta casa, esta vida conosco, era o núcleo de seu coração.

- - -
O Departamento de Guerra teria nos enviado um telegrama imediatamente, se Chris tivesse sido ferido. Isto é uma fraude como as que vemos nos jornais, que gravam meticulosamente a miséria em parágrafos intitulados "Impiedosa fraude aplicada em esposa de soldado". Agora ela iria dizer que teve despesas para vir aqui com suas novidades e que ela era pobre. E, no primeiro olhar generoso em nossos rostos, ela viria com alguma história sobre problemas.

- - -
"Trauma pós-guerra." [shell-shock]

Nossos rostos não se iluminaram, então ela demorou-se maliciosamente.

"De qualquer forma, ele não está bem."

Novamente, ela mexia na bolsa. Seu rosto estava visivelmente abatido.

"Não está bem? Ele está perigosamente doente?"

"Oh, não."

- - -
Então uma enfermeira veio e me levou para ver Chris. Ele estava em um quarto agradável. Ele estava melhor do que eu esperava, mas não parecia bem. Por um lado, ele estava estranhamente turbulento. Ele parecia feliz em me ver e me disse que não conseguia se lembrar de sua concussão, mas que queria voltar para Harrowweald.

- - -
"Quem diabo é Kitty?", perguntou ele, pasmado. "Kitty é sua esposa", eu disse calmamente, mas com firmeza. Ele se sentou e gritou: "Eu não tenho esposa alguma!"

Eu estava determinada a resolver o assunto por meio de afiado bom senso. "Chris", eu disse, "você evidentemente perdeu sua memória. Você se casou com Kitty Ellis na igreja de São Jorge, Hanover Square, no dia três, ou talvez tenha sido no dia quatro - você conhece minha péssima memória para datas - de fevereiro de 1906." Ele ficou muito pálido e perguntou em que ano estávamos. "1916", eu disse a ele. Ele caiu para trás em uma condição de desmaio.

- - -
Uma hora depois, fui chamada de volta ao quarto. Chris estava se olhando em um espelho de mão, que ele jogou no chão quando entrei. "Você está certa", disse ele; "não tenho vinte e um anos, mas trinta e seis."

- - -
De repente, ele parou de delirar e perguntou: "Meu pai está bem?" Rezei por orientação e respondi: "Seu pai faleceu doze anos atrás."

- - -
Ele se virou e disse: "Agora, conte-nos sobre esta Kitty com a qual me casei." Eu disse que ela era uma linda mulher, e mencionei que ela tinha uma voz de soprano encantadora e cultivada. Ele disse, muito zangado: "Eu odeio qualquer um, homem ou mulher, que canta. Ó Deus, não gosto dessa Kitty. Leve-a embora!"

- - -
Uma semana depois, trouxeram Chris para casa.

Desde o café da manhã, naquele dia, a casa estava tomada por aquele sentimento que precede os funerais.

- - -
Então, comecei uma sarabanda de Purcell, uma coisinha alegre que nos faz imaginar uma mulher gorda e ruidosa dançando em um piso lixado em uma antiga pousada, com barris de boa cerveja ao redor dela e um mundo de raios de sol e pistas de maio. Enquanto eu tocava, perguntei-me se coisas assim aconteciam quando Purcell escreveu esta música, vazia de tudo, exceto risos, satisfações simples e, na pior das hipóteses, o lamento do amor não correspondido. Por que a vida moderna trouxe esses horrores, que fazem com que as velhas tragédias pareçam não mais do que eventos do jardim de infância?

- - -
Sua pequena boca cor-de-rosa continuou a fabricar malícia.

"Isso é tudo uma farsa", disse ela no final de uma frase imperdoável. "Ele está fingindo."

- - -
Sua própria perda de memória foi um triunfo sobre as limitações da linguagem que impedem a maioria dos homens de fazerem declarações explícitas sobre sua espiritualidade. [...] pelo vazio daqueles olhos que me viam apenas como um companheiro de jogo desconsiderado e cegos para Kitty, salvo como uma estranha que de alguma forma se tornou uma presença decorativa em sua casa, ou como a pessoa que ordenava suas refeições, ele nos fez saber exatamente onde estávamos. [...] Senti, de fato, um frio orgulho intelectual pela sua recusa em lembrar-se de sua maturidade próspera e de sua determinada habitação na época de seu primeiro amor, pois assim ele se mostrava muito mais são do que o resto de nós, que tomam a vida como ela vem, carregada com o não essencial e o irritante. Eu estava mesmo disposta a admitir que essa escolha do que era para ele realidade, fora de todas as aparências tão copiosamente apresentadas pelo mundo, era o ato de gênio que sempre esperei dele. Mas isso não tornou menos aflitiva essa exclusão de sua vida.

- - -
"Um caso de amnésia", ele estava dizendo a Margaret. "O seu Eu inconsciente
recusa-se a deixá-lo retomar suas relações com sua vida normal, e aí temos essa perda de memória."

"Eu sempre disse", declarou Kitty, com um ar de bom senso, "que se ele fizesse um esforço -"

"Esforço!" Ele sacudiu sua cabeça redonda. "A vida mental que pode ser controlada pelo esforço não é a vida mental que importa. Você foi ensinada quando era jovem a falar sobre algo chamado autocontrole, uma espécie de garçom da alma que diz: 'Estamos fechando, cavalheiros' e 'Chega, você já bebeu o bastante.' Não existe tal coisa. Há um Eu profundo no indivíduo, o Eu essencial, que tem seus desejos. E se esses desejos são suprimidos pelo Eu superficial, - o Eu que faz, como você diz, esforços, e geralmente os faz com a única ideia de apresentar um bom espetáculo diante dos vizinhos, - ele terá sua vingança. Dentro da casa de conduta erguida pelo Eu superficial, envia uma obsessão que parece não ter qualquer relação com o desejo reprimido. Um homem que realmente quer abandonar sua esposa desenvolve um ódio por conserva de repolho que pode ser exibido em performances que levam direto ao hospício", ele finalizou.

- - -
"Obviamente, ele esqueceu a vida dele aqui porque estava descontente com ela. Que prova mais clara você poderia precisar do que o fato de que você estava há pouco me dizendo, quando essas senhoras entraram, que o motivo pelo qual o Departamento de Guerra não enviou um telegrama para você quando ele foi ferido foi porque ele havia se esquecido de registrar seu endereço? Você não vê o que isso significa?"

- - -
"Oh, o hipnotismo é um truque bobo. Ele libera a memória de uma personalidade dissociada que não pode ser relacionada - provavelmente não em um caso tão obstinado quanto este - com a personalidade acordada."

- - -
Ele apresentava um sorriso decente e terrível. Eu sabia como sua voz se ergueria resolutamente para nos cumprimentar. Ele não andava de pernas soltas como um menino, como tinha feito naquela mesma tarde, mas com o duro passo do soldado no calcanhar. Recordou-me que, mal como estávamos, ainda não estávamos na pior circunstância de seu retorno. Quando levantássemos o jugo de nossos abraços de seus ombros, ele voltaria para aquela trincheira inundada na Flandres, debaixo daquele céu mais cheio de morte voadora do que de nuvens, para aquela Terra-de-Ninguém onde as balas caem como chuva nos rostos apodrecidos dos mortos.

- - -
[...] "Ele está voltando."

"Jenny! Jenny! Como está a aparência dele?"

"Oh, como eu poderia dizer? - cada centímetro um soldado."

Eu a ouvi respirar com satisfação.

"Ele está curado!" Ela sussurrou lentamente.


Mais:
http://www.youtube.com/watch?v=ADrrF9zyuZ0

domingo, 10 de junho de 2018

Musil

Im Schatten des Krieges

Im Literaturhaus in München findet derzeit die Ausstellung "Der Gesang des Todes. Robert Musil und der Erste Weltkrieg" statt.

Musils Erlebnisse an der italienisch-österreichischen Front haben in Briefen, Tagebuchnotizen und auch literarisch ihre Spuren hinterlassen.

Diese Ausstellung (bis 22. Juni 2014) dokumentiert Robert Musils Erleben des Ersten Weltkrieges. Sie ist organisiert gemeinsam mit dem Südtiroler Landesmuseum für Kultur- und Landesgeschichte Schloss Tirol und wird unterstützt durch das Robert Musil Literatur Museum und die internationale Robert Musil Gesellschaft, die beide ihren Sitz in Klagenfurt haben.

In einer seiner Tagebuchaufzeichnungen aus dem Jahre 1915 hielt Robert Musil folgendes fest: "Krieg. Auf einer Bergspitze. Tal friedlich wie auf einer Sommertour. Hinter der Sperrkette der Wachen geht man wie (ein) Tourist." Die äußerst verlustreichen Materialschlachten am Isonzo und der Hochgebirgskrieg entlang der österreichisch-italienischen Front waren da noch fern. Die Meldungen von den Kämpfen in Galizien und an der Westfront zeichneten jedoch bereits ein düsteres Bild.

Musil hatte sich freiwillig zum Kriegsdienst gemeldet. Nicht ungewöhnlich, stammte der gebürtige Klagenfurter als einziges Kind des Ingenieurs und Hochschulprofessors Alfred Musil und dessen Frau Hermine aus einer großbürgerlichen Familie, in der die Militärlaufbahn zunächst vorgezeichnet schien. Mit elf Jahren kam er in die Militärrealschule in Eisenstadt, zwei Jahre später auf die Kadettenschule in Mährisch-Weißenkirchen. Was dies für einen Buben seines Alters bedeutete, lässt sich aus heutiger Sicht kaum ermessen. Die strenge Ausbildung war eine Mischung aus demütigendem Drill und unerbittlichem militärischen Reglement. Kein Wunder, dass diese militärische Erziehung auch bei Musil Spuren hinterließ, die er in seinem Erstlingsroman "Die Verwirrungen des Zöglings Törleß" literarisch verarbeitete.

Und doch blieb Robert Musil der militärischen Tradition in seiner Familie zunächst treu und begann an der Technischen Militärakademie in Wien mit dem Studium. 1898 entschied er sich jedoch gegen die militärische Laufbahn und setzte das Ingenieurstudium in Brünn fort. 1903 studierte Musil Philosophie und Psychologie an der Friedrich-Wilhelms-Universität in Berlin. Dort heiratete er auch die geschiedene Malerin Martha Marcovaldi, die zwei Kinder mit in die Ehe brachte.

Musil durchlebte erste Schaffenskrisen, sein Vater der ihn bis dahin finanziell unterstützt hatte, zwang ihn nun eine Stelle als Bibliothekar in Wien anzunehmen. Doch Musil beugte sich dessen Willen nur vorübergehend: Er kündigte und zog mit seiner Familie wieder nach Berlin, um dort das Angebot des Verlegers Samuel Fischer als Redakteur der "Neuen Rundschau" anzunehmen.

TRÜGERISCHE BEGEISTERUNG

Bei Kriegsbeginn stimmte er zunächst in die Kriegsbegeisterung ein: "Wir haben nicht gewußt, wie schön und brüderlich der Krieg ist". Dann regte sich Nachdenklichkeit: "Gewiß, wir wollen nicht vergessen, daß stets auch die andern das gleiche erleben; wahrscheinlich sind die, welche drüben unsere Freunde waren, genauso in ihr Volk hineingerissen." Am 20. August kehrte Robert Musil nach Österreich zurück und rückte als Reserveoffizier zum Landsturm in Linz ein. Unter seiner Führung wurde die 1. Kompanie des 24. Landsturm-Marschbataillons zur Grenzsicherung nach Südtirol an den Ortler abkommandiert. Die Ruhe und Idylle, weit weg von Frau und Familie, in der Abgeschiedenheit der Berge trog, auch wenn Musil in einem Brief vermerkte: "Ich stecke rings im Schnee, Ski sind mir an den Füßen gewachsen und meine Prophezeiung, daß ein so weites Wegsein von der Welt - denn ich fange an zu bemerken, daß das mit meinem Begriff von Glück identisch ist - nicht mehr von langer Dauer sein kann, scheint sich auch zu erfüllen."

ERLEBNISSE AN DER FRONT

Beim Kriegseintritt Italiens im Jahr 1915 befand er sich in Palai im Fersental. Noch verfolgte Musil die Kämpfe aus der Distanz. Seine Eindrücke und Empfindungen verarbeitete er später in der 1921 erschienen Novelle "Grigia". So fern der Krieg jedoch zunächst schien, er rückte unerbittlich näher. Bei den Kämpfen in der Nähe des Fort Tenna am Caldonazzo-See verfehlte ein beim Angriff einer italienischen Flugzeugstaffel abgeworfener dünner Metallstab, ein sogenannter "Fliegerpfeil", Musil nur um Haaresbreite. Doch es sollte noch schlimmer kommen. Ende November wurde er nach Prvacina südlich von Görz abkommandiert und erlebte dort hautnah an vorderster Front die mörderische vierte von insgesamt zwölf Isonzo-Schlachten.

Im Jahr 1916 erkrankte Musil schwer, nach seiner Genesung wurde er Redakteur der (Tiroler-)Soldatenzeitung, bevor er nochmals an die Isonzo-Front versetzt wurde. Nach seiner Beförderung zum Landsturm-Hauptmann wurde Musil im Kriegspressequartier mit der Herausgabe der "neuen patriotischen Wochenschrift" - "Heimat" - betraut. Das Ende der Habsburger Monarchie und des Traums von einer Verwirklichung der paneuropäischen Idee quittierte Musil im Jahr 1919 desillusioniert mit der Bemerkung: "Können Utopien plötzlich Wirklichkeit werden? Ja. Siehe den Kriegsschluß. Beinahe wäre eine andere Welt dagewesen. Daß sie ausblieb war keine Notwendigkeit."


Fonte:
http://www.springermedizin.at/artikel/40274-im-schatten-des-krieges

Mais:
http://www.cultura.trentino.it/deu/Vertiefungen/Robert-Musil-im-Fersental
http://www.wochenanzeiger.de/article/146620.html
http://docs.google.com/file/d/1KBtXAf7UiWubvVtkNnuaPvf0UE1Qvsmv

quarta-feira, 6 de junho de 2018

Um ano sobre o altiplano

Trechos de Um Ano Sobre O Altiplano (1938), de Emilio Lussu.


Ao final de maio de 1916, minha brigada - regimentos 399º e 400º - encontrava-se ainda no Carso. Desde o início da guerra, eu havia combatido apenas naquele front.

- - -
O príncipe [duque de Aosta, nosso comandante] tinha escassas capacidades militares, mas uma grande paixão literária. Seu chefe de Estado Maior e ele se completavam. Um escrevia os discursos e o outro os pronunciava. O duque aprendia-os de memória e recitava-os, com oratória de antigo romano e uma dicção impecável.

- - -
Em 21 de agosto de 1915, com quarenta voluntários, [o tenente de complemento Grisoni] havia atacado de surpresa e conquistado o "nó emaranhado", sólida trincheira avançada defendida por um batalhão de húngaros. Havia sido uma ação de extrema audácia.

- - -
O diretor do coro entoava:

"Um raminho de flores..."

O coro da companhia respondia:

"Colhido na montanha..."

E o canto animava os soldados, cansados. Estávamos há três dias em marcha. A longa imobilidade da vida sedentária no Carso deixou-nos incapacitados para grandes esforços. A marcha resultava difícil para todos. Só nos consolava a ideia de que iríamos à montanha.

O descanso de Aiello sequer durou uma semana. Os austríacos lançaram a grande ofensiva entre Pasubio e Villa Lagarina. Depois de romper o front na Colina XII, passaram a ser vistos no altiplano de Asiago.

- - -
O coro animava-se cada vez mais, porém cada qual seguia o curso de seus pensamentos. Havia-se acabado a vida de trincheira: agora íamos contra-atacar, manobrando, tinham-nos dito... e na montanha. Finalmente! Entre nós, tínhamos falado sempre da guerra na montanha como de um descanso privilegiado. Assim, pois, também nós veríamos árvores, bosques e fontes, vales e ângulos mortos, que nos fariam esquecer, com o grande descanso frustrado, aquele horrível pedregal do Carso, desolado, sem um filamento de vegetação nem uma gota de água, tudo igual, sempre igual, carente de refúgios, com apenas alguns buracos, as "dolinas", ímãs para os disparos de artilharia de grande calibre, nos quais nos afundávamos à vontade de Deus, homens e mulas, vivos e mortos. Por fim poderíamos nos deitar, nas horas de ócio, tomar sol e dormir atrás de uma árvore sem sermos vistos, sem ter como despertador uma bala na perna, e dos cumes dos montes veríamos, diante de nós, um horizonte e um panorama, ao longo das eternas paredes de trincheira e do arame farpado, e por fim nos libertaríamos daquela vida miserável, vivida a cinquenta ou a dez metros da trincheira inimiga, em uma promiscuidade feroz, composta de contínuos ataques com baioneta ou à base de granadas de mão e tiros de fuzil disparados por troneiras. Deixaríamos de matar uns aos outros, todos os dias, sem ódio. [...]

O único inconveniente da manobra era que tínhamos que marchar, sempre marchar.

Um regimento de cavalaria cruzou conosco na estrada e tivemos que nos deter para deixá-lo desfilar. Felizardos, eles que iam a cavalo! Mas logo nos demos conta de que eles também estavam mortos de cansaço.

- Felizardos - respondiam eles -, vocês que podem caminhar a pé.

- - -
Agora a estrada ficava obstruída pelos refugiados. No altiplano de Asiago não havia ficado um alma viva. A população dos Sete Municípios derramava-se pela planície, ao deus-dará, transportando em carros de boi e em mulas: velhos, mulheres, crianças e as poucas bugigangas que conseguiram salvar das casas abandonadas às pressas ao inimigo. Os camponeses, apartados de sua terra, eram como náufragos. Ninguém chorava, mas seus olhos miravam ausentes. Era o comboio da dor. Os carros, lentos, pareciam um cortejo fúnebre.

- - -
Com o olhar, segui "tio Francesco", que ia a meu lado. Era o soldado mais velho da companhia: participara também da guerra na Líbia. Os companheiros chamavam-no de "tio Francesco" porque, além de ser o mais velho, era pai de cinco filhos.

- - -
Quando um suboficial regressou do bivaque com tabaco e garrafas de vinho, os grupos se reanimaram. Gastara as vinte liras. Na guerra não se pensa no amanhã. Não demoraram a passar de mão em mão as garrafas, e as vozes se elevaram.

- À saúde do coronel!

Só uma voz juvenil se destacou entre as outras, hostil:

- À saúde da puta da sua mãe!

Os companheiros protestaram.

- Você quer que em lugar do vinho o coronel meta duas balas em sua barriga?

- - -
A ponte de Val d'Assa, destruída por nós, fora reconstruída pelos austríacos em poucos dias. Toda nossa artilharia havia caído em mãos do inimigo: já não nos restava uma peça sequer em todo o altiplano.

- - -
- Que não bebe licores? - perguntou-me, preocupado, o tenente-coronel.

Ele tirou do bolso da jaqueta um caderninho e escreveu: "Conheci um tenente abstêmio de licores. 5 de junho de 1916." Fez-me repetir meu nome, e acrescentou-o à nota. [...] Para não perder tempo, apressei-me a dizê-lo a razão oficial que me levara até ali, mas ele, antes de responder-me, quis conhecer alguns detalhes de minha vida e meus estudos. Assim ficou sabendo que eu era oficial de complemento, que havia saído da universidade quando a guerra foi deflagrada, porém o que mais o assombrava era o assunto dos licores.

- Pertence talvez a alguma seita religiosa? - perguntou-me.

- Não - respondi, rindo -. Por quê? [...]

- Vê ali a saída de Val Frenzela, por debaixo de nós? Entre a saída e o monte Fior haverá não menos de quatro ou cinco quilômetros em linha reta. Se os austríacos forçarem a saída, a "porta", poderão introduzir todo um exército sem ter um só ferido, enquanto a "chave" segue pendurada na parede. Você não bebe!

- - -
O batalhão permaneceu quatro dias, entre Buso e a estrada Gallio-Foza, em contato com os avanços do inimigo. [...] Todos eles eram batalhões regionais, recrutados no Alto Veneto. Portanto, combatiam em torno de suas casas.

- - -
Pouco antes da meia-noite, o batalhão recebeu a ordem de dirigir-se com todos os seus efetivos até a primeira linha, no monte Fior, com as quatro companhias, os sapadores e a seção de metralhadoras. Tomamos posições às escuras, com bastante desordem, ocupando o espaço que a outra tropa, depois de se trasladar para mais à direita, havia deixado para nós. Passamos toda a noite escavando.

A situação era difícil e nos demos conta disso ao amanhecer, quando os austríacos abriram fogo. Na ordem que nos fora comunicada, estava escrito o seguinte: "Devem aferrar-se ao terreno, com unhas e dentes." A frase, com ressonâncias literárias, refletia, com suficiente aproximação, a posição de cada um de nós. De fato, as trincheiras estavam improvisadas sobre um terreno desnudo, sem escavações profundas, sem sacos de areia, sem parapeitos. Mais que trincheiras, havíamos encontrado buracos individuais, descontínuos, que cada qual tentara aprofundar, já que não com os dentes exatamente, em grande parte com as unhas. Estávamos estendidos, com as barrigas no chão e a cabeça apenas protegida por alguma pedra e montinhos de terra. A cada rajada de metralhadora, a cada silvo de granada, fazíamos instintivamente um pouco mais de esforço para ocupar menos espaço e oferecer menos vulnerabilidade, apertando-nos cada vez mais contra o terreno, esmagados até a linha do solo.

Participavam do bombardeio da artilharia, além de todas as peças de campanha postadas na região de Asiago, as de grande calibre. Pela primeira vez, entravam em ação no altiplano as de 305 e de 420. Nós ainda não conhecíamos estas últimas. A trajetória produzia um ruído especial, um estrondo gigantesco, que se interrompia de vez em quando para ser retomado, cada vez mais intenso, até a explosão final. Trombas de terra, pedras e pedaços de corpos elevavam-se, altíssimos, e voltavam a cair longe. Na cratera que produziam poderia caber um pelotão amontoado. Poucos eram os projéteis que caíam na primeira linha. A maior parte derramava-se às nossas costas. Todo o terreno tremia sob nossos pés.

- - -
O aspirante Perini pôs-se de pé, em meio de seus soldados, e empreendeu fuga. Era muito jovem e enfermiço, e nunca havia participado de um combate. [...]

O aspirante correra já algumas centenas de metros e tinha desparecido atrás do declive, mas o major, como um disco arranhado que repete até o infinito a mesma frase, seguia gritando, monótono:

- Dê um tiro de fuzil nesse covarde!

- - -
Enquanto nossa metralhadora disparava, o bombardeio cessava. O inimigo atacara no preciso instante em que a artilharia suspendera o bombardeio.

Os austríacos atacavam em massa, em ordem cerrada, com batalhões contíguos. Com a bandoleira do fuzil ao ombro, não disparavam. Convencidos de que, depois daquele bombardeio, em nossas linhas não haveria ficado uma alma viva, avançavam seguros. Avançavam cantando um hino de guerra, do qual a nós só chegava a ressonância do incompreensível coro.

- - -
De nossas duas metralhadoras, só uma disparava. A outra fora destruída por uma granada. Das colunas inimigas, nós só víamos as que tínhamos em frente, mas o ataque provavelmente era simultâneo, também à nossa direita.

Os batalhões avançaram passo a passo, lentamente, tendo como obstáculos pedras e troncos. Nossa metralhadora disparava raivosa, sem cessar. Quem a apontava era o próprio comandante da seção, o tenente Ottolenghi. Víamos unidades inteiras tombar ceifadas. Os companheiros desviavam para não passar sobre os caídos. Os batalhões se recompunham. Retomava-se o cântico. A maré avançava.

- - -
O major permaneceu estendido, imóvel. O assistente desabotoou-lhe a jaqueta e vimos o peito coberto de sangue. A couraça metálica, que lembrava escamas de peixe, estava perfurada de balas.

[...] A colisão entre os nossos e os austríacos já se produzira. Uns e outros, confusamente mesclados, detiveram-se. As unidades austríacas recuaram passo a passo, com a bandoleira do fuzil ao ombro, como haviam avançado. A inesperada resistência conseguiu desagregá-los.

[...] O terreno estava coberto de mortos, mas havíamos resistido. Voltamos a levar para trás os feridos, bem ou mal, pois já não tínhamos macas.

- - -
O capitão Bravini não parava de gritar:

- Saboia!

Um tenente da 12ª passou a meu lado. Tinha a cara avermelhada e empunhava uma carabina. Era um republicano e o grito de ataque monárquico aborrecia-o. Viu-me e gritou:

- Viva Itália!

- - -
Os soldados cantarolavam à sombra. Reliam cem vezes as cartas recebidas de casa.

- - -
[Ludovico] Ariosto era um pouco como nossos jornalistas correspondentes de guerra, e descreveu cem combates sem ter visto um sequer. Porém, quanta graça e quanto gozo no mundo de seus heróis!

- - -
Em outubro, com a proximidade do inverno, que na alta montanha se inicia a finais do outono, começaram os turnos de trincheiras, tétricos e monótonos. Pensando bem, não eram piores que a vida que, todos os dias e em tempos de paz, levam milhões de mineiros nas grandes minas da Europa. Havia algum ferido, raras vezes um morto. Excepcionalmente, o estampido de um canhão de grande calibre ou de um bombardeio de trincheira provocava uma grande catástrofe, como a explosão do grisu em uma mina, e a vida era retomada sempre igual: trincheira, descanso a um quilômetro, trincheira. O frio, a neve, o gelo e as avalanches não tornam mais dura a guerra aos homens vigorosos. São elementos que, em época de paz, aqueles que vivem na alta montanha e nas regiões de neve perpétua conhecem bem. Para a infantaria, a guerra é o ataque. Sem ataques, o que há é trabalho duro, não guerra.

- - -
O capitão estava sentado à mesa, ainda não recolhida. Os oficiais tinham acabado de almoçar e voltaram a seus postos de serviço. O capitão tinha ao alcance da mão o telefone e duas garrafas: uma de conhaque e outra de Bénédictine. Bebia e fumava.

- Devem ser bósnios muçulmanos - disse-me, quando me viu -. Ter essa ideia de explodir uma trincheira na noite de Natal! Bonito presságio nos preparam, mas tenho as peças de artilharia apontadas de tal modo que, se são maometanos, esta noite mesmo entrarão em comunicação com o Profeta.

- - -
O capitão falava com um tom mais alegre. O certo é que o licor o excitava, mas suas palavras igualmente excitavam-no. Falava rapidamente, como se tivesse levado muito tempo esperando uma ocasião para abandonar-se às confidências. Tirou uma fotografia da carteira.

- Olhe com atenção. Ela é atraente, tanto quanto uma mulher atraente pode ser. Mas, apesar disso, não vale uma garrafa de conhaque.

- - -
Nossos pais achavam que estávamos sempre participando de combates brutais. Nunca pensaram que pudéssemos passar meses sem combates e sem sequer ver os austríacos.

- - -
[...] pedir autorização para realizar uma excursão com o esquadrão de esquiadores do batalhão. Como [o tenente Ottolenghi] continuava sendo o comandante da seção de metralhadoras, não tinha ligação alguma com os esquiadores, mas durante o inverno fizemos, por prazer, longas práticas e chegamos a ser bons esquiadores.

- - -
No momento de tomar o café, a conversa se reanimou. Um subtenente, estudante de Letras da Universidade de Roma, recitou em latim uma sátira de Juvenal e depois deu sua tradução em versos italianos. Todos aplaudiram.


Mais:
http://www.lanuovasardegna.it/2015/01/02/news/la-leggenda-dei-dimonios
http://en.wikipedia.org/wiki/Sassari_Mechanized_Brigade#World_War_I
http://www.youtube.com/watch?v=Wcgt-0zLTlI
http://www.youtube.com/watch?v=8skkuB7hpVI

domingo, 3 de junho de 2018

Lost opportunities

Trechos de The War Of Lost Opportunities (1923), de Max Hoffmann.


On the evening of the first day of the mobilization I arrived in Posen, the mobilization station of the "Army High Command 8."

This army was under the command of Colonel-Generals von Prittwitz and Gaffron. The Woyrsch Corps had also to assist the extreme left wing of the Austrians in their offensive movement.

- - -
For this task it was positively insufficiently equipped; above all there was a want of heavy artillery; and, what can even be called a crime, was the want of proper medical equipment. The influence that the High Command of the 8th Army was able to have on the Corps was but small. The telephone connexions were bad, and became entirely disconnected as the Corps advanced owing to the want of material. I only succeeded twice, at the beginning, in obtaining a connexion with the Corps - a very agreeable surprise! One of our most gifted and clever officers of the General Staff, Lieutenant-Colonel Kundt, who was my best friend, answered to my call. I had supposed he was in South America. Before the War he had gone on leave, with several other officers, to Bolivia, and just before the outbreak of the War he had obtained a furlough to go home and had arrived safely in Germany.

- - -
Our army had orders to defend East and West Prussia against a Russian attack. At the same time it was to take care not to allow itself to be overpowered by superior forces or to be driven into the fortress of Konigsberg. In the event of the advance of greatly superior Russian forces the instructions were to give up West Prussia East of the Vistula, and to take up positions behind that river.

- - -
Unfortunately at the time his [Major-General von Waldersee] physical powers were not equal to his mental, as he had but recently undergone a serious operation and his nerves were still suffering from its effects.

- - -
During the next few days the Russians made small cavalry attacks which were repulsed with ease. The Vilna army advanced in larger detachments with great energy on our Eastern frontier, while the Southern frontier of both East Prussia as well as West Prussia remained comparatively quiet.

The reconnoitering of the Warsaw Army was extremely difficult. The agents - Polish Jews - who during the first days had brought in news, failed us, as the Russian occupation of the frontier districts became denser. The Army had only one detachment of airmen at its disposal, which was obliged to restrict itself to flying over the communications that connected us with the frontier twice a day.

- - -
It was quite natural that from his point of view he should make sure that no Russian should step on the soil of East Prussia; and that no East Prussian village should experience the horrors of war. He was of the opinion that the task of the frontier defences was therefore to act offensively, and wanted by attacking the Russian Frontier Defence Detachments to keep them away from the frontier. He failed to see that by such tactics the 1st Army Corps would be removed from its contact with the rest of the army.

- - -
Hindenburg and Ludendorff arrived in the evening of the 23rd. General von Hindenburg, who afterwards became the idol of the German people, was up to that time but little known beyond the district of his old Corps. I had never seen him. Ludendorff, on the contrary, was a well known and often mentioned personage in the circles of the General Staff officers. His efforts to strengthen the army, which were only partially carried out in the great defensive plans, and also his endeavours to persuade the Ministry of War to have greater provisions of ammunition in store, in the event of a mobilization, which met with the same fate, were much discussed. There could be no question that the first success of the War, the important capture of Liege, was entirely owing to him, as was the general opinion of the army.

- - -
The enemy commander, General Samsonov, issued an order to the army to pursue. The order was sent by wireless from the Russian station, not ciphered, and we intercepted it. This was the first of numberless orders that in the beginning the Russians sent, with quite incomprehensible thoughtlessness, unciphered by wireless; afterwards they were in cipher. This thoughtlessness greatly facilitated the direction of the war in the East, and in many cases even made the initiative possible for us. The cipher orders caused us no difficulties either; we had two men on the Staff who proved themselves quite geniuses in deciphering, and in a very short time they found out the key to the new Russian code.

- - -
Samsonov shot himself when he realized the complete defeat of his army.

It is natural to ask, what were Rennenkampf s reasons for not coming to his assistance in spite of all the requests Samsonov had sent him by wireless. The explanation that his inactivity was caused by the very severe losses his army had sustained in the battle of Gumbinen, where some units had lost fifty per cent, or more of their effectives. [...] I would therefore like to mention the reports, which cannot be quite disproved, that Rennenkampf did not go to assist Samsonov from personal enmity against him.

[...] I know that a personal enmity existed between the two men, it dates from the battle of Liauyang, where Samsonov with the Siberian Cossack Division was defending the Yentai coal mines, but notwithstanding the distinguished bravery of his Cossacks he was obliged to evacuate them as Rennenkampf, who was on the left flank of the Russians with his detachment remained inactive notwithstanding repeated orders.

- - -
Already on the fourth day of the battle the report of an airman had come in, who said he had the impression that the principal Russian positions were only feebly occupied, or not occupied at all, and on the following morning the Chief Command received the positive news that Rennenkampf did not mean to resist the attack, but had apparently given the order for a general retreat already on the previous day. Though this information deprived us of the hope of completely defeating Rennenkampf, I would not be speaking the truth, if I asserted that the news of his retreat was not very agreeable to us.

The frontal attack on the admirably planned positions of the Russians would have been very difficult. It appears to me doubtful if we should have been successful. It would only have been necessary for Rennenkampf to defend himself from the enveloping attack on his left wing by the three divisions of the Generals von Francois and von Morgen. Rennenkampf had for this purpose at the very least the Finnish Army Corps and six Divisions of his reserve.

- - -
While our army was fighting the battles of Tannenberg and of the Masurian Lakes the positions on the Western front and of the confederated Austrian army had developed unfavourably.

[...] It was now too late. The condition of the Austrian troops demanded immediate support. It was necessary to fight with them shoulder to shoulder at once.

- - -
The retreat itself, that had been ordered on the 27th, was carried out in perfect order and without any difficulties.

The Russians pursued us energetically along the whole front. They also attacked East Prussia and our frontier defences near Mlava. The position was serious on the whole of the Eastern front.

- - -
We came to the conclusion that if we could succeed in destroying the railways so completely that it would require a long time to reconstruct them we should be able to stop for a time the advance of the enemy, who was pursuing us on Russian soil, to the East of the German frontier.

- - -
The Breslau Corps was to join up to the South of the advancing army.

The Russians were taken entirely by surprise. There was sharp fighting at Wloclawek, Kutno and Dombe, in which our troops remained victorious and drove the enemy back with heavy losses.

[...] General Scheidemann, the Russian Commander at Lodz, sent constant reports by wireless of the desperate position he was in, but continued to defend himself furiously.

- - -
It was only later that the reports crystallized, and we learned that in the beginning of the year 1915 the Russians intended to make an outflanking attack from the North on East Prussia while at the same time strong forces were to attack the German weak positions at Mlawa, and entering from the South, to penetrate into Prussia.

- - -
Lost opportunities are a phenomenon of this War that we shall often have to notice. The right thing is suggested at the right moment, when success can be achieved with but a comparatively small employment of force, but the suggestion is set aside; then enemy movements take place that oblige the General Headquarters to send more reinforcements than had previously been asked for: with only this difference, that the forces now no longer serve to gain a decisive victory but only to retrieve a misfortune that had occurred.

- - -
The Grand Duke had caused incredible loss of human life, without attaining the slightest tactical successes. On the other hand he was a good soldier, who kept strict discipline. He was respected in the Army, and feared in the higher grades of the Service and especially at the front, for the strict measures he had introduced to maintain discipline. Perhaps he would have found ways and means to prevent the Bolshevik propaganda from penetrating into the Army.

The Tzar's second measure, the undertaking the Chief Command himself, can only be called a mistake. The work of a Commander-in-Chief in our days requires the whole attention of a very capable man; a monarch of a great country has not the time to devote to it, as the business of his government require both time and work from him daily. Either the leadership of the Army or the government of the country must suffer if he tries to do both.

- - -
The Bulgarians who had been robbed of the fruits of their victory over the Turks in the second Balkan War by the Serbs, the Greeks and the Rumanians, were burning for revenge and hoped by joining the Central Powers not only to obtain it, but also to get Macedonia and the Dobrudja.

- - -
With regard to the question of the U-boats, no man of sense can be in doubt that in our struggle for the existence of Germany, we not only had every right, but that it was our bounden duty to bring them into action without any consideration for others. It is absurd to talk of inhumanity and that sort of thing, when all know that England had already begun the hunger blockade against German women and children. There was no possibility for us Germans to escape from the consequences of this blockade, while the Americans had no need to take their pleasure trips exactly in zones blockaded by Germany. From the very beginning I was only afraid that we might commence the U-boat war too soon, that is to say, we would not have sufficient submarines to be able to continue this warfare. I often think of a discussion I had on this question with the President of the Union of Landowners, Dr. Rosicke, in Kovno, when he came to visit the Field-Marshal. During this discussion he reproached me with want of patriotism, etc., when I objected to bringing the unrestricted submarine warfare into immediate action.

Later events proved that I was right. We began too soon, that is, with too few U-boats, and the results were very similar to those produced by our gas warfare. We showed the adversary what a dangerous weapon we possessed at a time when the weapon was not strong enough to prevent him from taking the necessary measures to defend himself from it. I do not doubt that it would have been possible for the U-boat warfare to have had a complete success if from the beginning of the War we had applied all our available power to the construction of innumerable submarines.

- - -
The position was not quite so secure with the Arch-Duke Karl's Army Group, and there were hardly any forces at our disposal to repulse our new enemy - Rumania.

- - -
Once again it was proved that the Russian Army had produced no great leader, no man of real straitegic understanding. Instead of attacking us again along the whole front and occupying us in that way, to hinder us from removing troops to send to other fronts, Brussilov's offensive was absolutely stopped.

- - -
The death of the Kaiser Franz Joseph, who closed his eyes on the 21st of November, 1916. He was the last bond that still united the divergent States that formed the Austro-Hungarian Monarchy.

- - -
The blunt refusal that the Entente gave to these proposals of the Central Powers, caused us to begin the unrestricted U-boat warfare on the 1st of February, 1917. I have already given my opinion on the question of the submarine warfare; I am quite positive first, that Germany had unquestionably every right to carry out an unrestricted U-boat warfare, and secondly, that it was our duty to employ every weapon we possessed to achieve the final victory. It was England who had begun the extension of the War to women, children and non-combatants by the blockade measures she had taken. There can be no doubt we had the right to defend ourselves with similar measures. The outbreak of American indignation against Germany for preventing Americans from coming to England or going in safety anywhere else they desired sounds almost childish. With the same right the Americans might demand that a battle should be broken off, and the artillery fire stopped when a few Americans took it into their heads to go for a walk on that particular battle-field.

- - -
Then America joined the War. And although America had no Army at the time and the Admiralty, in their usual optimistic way of looking at things, declared to everybody that if it was even possible for America to create an Army, she would never be able to transport it to Europe, still there was a large number of earnest people who declared that from the moment America joined the War, all hopes were at an enck that Germany could issue from the struggle victorious.

In March, 1917, at that moment of great difficulty, an event took place affecting the history of the world and which gave Germany once again the possibility of a military victory - this was the beginning of the Russian Revolution.

- - -
It is well known that owing to our inactivity Kerensky was able to carry away the Army with his persuasive eloquence and to induce them to continue the struggle.

[...] It would have been the most comprehensible thing that Russia could have done, to have concluded a separate peace with Germany. If it had done so then it would have been spared the experience of a Bolshevik Government and the blood of many millions of murdered citizens.

- - -
It was about this time that Germany had recourse to a new medium of warfare. This was a species of still stronger poison gas - the so-called Yellow Cross.

- - -
Some men at home who had connexions with the Russian revolutionaries exiled in Switzerland came upon the idea of employing some of them in order to hasten the undermining and poisoning of the moral of the Russian Army.

- - -
We Germans, who were at war with Russia, had unquestionably the right, when the Russian Revolution did not lead to peace, as at first had been expected, to augment the disorders of the Revolution both in the land and in the Army.

In the same way as I send shells into the enemy trenches, as I discharge poison gas at him, I, as an enemy, have the right to employ the expedient of propaganda against his garrisons. [...]

I personally knew nothing of the transport of Lenin through Germany. However, if I had been asked, I would scarcely have made any objections to it, as at that time nobody could foresee the fatal consequences that the appearance of those men would have for Russia and for the whole of Europe.

- - -
Admiral Altvater replied:

"The influence of Bolshevik propaganda on the masses is enormous. I have already often talked with you about it, and complained that at the time I was defending Osel the troops actually melted away before my eyes. It was the same with the whole Army, and I warn you the same thing will happen in your Army."

I only laughed at the unfortunate Admiral. He was murdered some time after that.

- - -
The execution of the terms of the Armistice that had been signed at Brest-Litovsk met with opposition on most parts of the front. It was not that the Russian troops were unwilling to have an Armistice, but because both on the Southern front and in the Caucasus the Bolshevik Delegation was not recognized as possessing the authority to conclude an Armistice.