quarta-feira, 12 de setembro de 2018

Ungaretti

Giuseppe Ungaretti: Poesia e guerra

Ungaretti vive in prima persona l'esperienza del fronte e della trincea. Della guerra rappresenta la paura, il freddo, la morte, ne denuncia l'atroce assurdità. Al tempo stesso, proprio la quotidianità con la morte e la consapevolezza della propria disperata solitudine sono le condizioni esistenziali sulle quali Ungaretti costruisce la sua incessante ricerca della poesia pura.

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L'esperienza della guerra è un nodo fondamentale del percorso artistico di Ungaretti e la sua testimonianza è imprescindibile per confrontarsi con il segno che il primo conflitto mondiale ha lasciato sulle coscienze di un'intera generazione.

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Gli intellettuali rivestirono un ruolo determinante nel dibattito tra interventisti e neutralisti: moltissimi infatti, anche se con motivazioni diverse, erano favorevoli all'intervento italiano a fianco dell'Intesa. Successivamente, quando furono palesi gli esiti drammatici della guerra, molti di loro cambiarono opinione e le testimonianze letterarie mettono in evidenza la lacerazione provocata da un conflitto così terribile e distruttivo.

Giuseppe Ungaretti ha vissuto in prima persona l'esperienza del fronte e della trincea. Della guerra ha rappresentato la paura, il freddo, la morte, ne ha denunciato l'atroce assurdità. Al tempo stesso, proprio la quotidianità con la morte e la conseguente consapevolezza della propria disperata solitudine sono state le condizioni esistenziali necessarie sulle quali Ungaretti costruirà, attraverso un doloroso percorso di "ascoltazione" interiore, la sua incessante ricerca della poesia pura.

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IL DISINGANNO

Nel 1914, allo scoppio della guerra, il giovane Ungaretti, all'epoca acceso interventista, rientra in Italia dal soggiorno parigino per arruolarsi volontario.

"Quando ero a Viareggio, prima di andare a Milano, prima che scoppiasse la guerra, ero, come poi a Milano, un interventista. Posso essere un rivoltoso, ma non amo la guerra. Sono anzi un uomo della pace. Non l'amavo neanche allora, ma pareva che la guerra s'imponesse per eliminare finalmente la guerra. Erano bubbole, ma gli uomini a volte s'illudono e si mettono in fila dietro alle bubbole." (G. Ungaretti, Vita d'un Uomo. Tutte le Poesie, a cura di L. Piccioni, Milano, Mondadori, 1969, p. 521)

Dopo alcuni mesi trascorsi a Milano e in Versilia, Ungaretti parte per il Carso, dove presterà servizio per tutta la durata del conflitto, tranne una parentesi sul fronte francese della Champagne, nella primavera del 1918.

Di fronte alla concretezza della guerra, alla vastità dell'orrore, il giovane volontario matura una profonda mutazione.

"Ero in presenza della morte, in presenza della natura, di una natura che imparavo a conoscere in modo nuovo, in modo terribile. Dal momento che arrivo ad essere un uomo che fa la guerra, non è l'idea di uccidere o di essere ucciso che mi tormenta: ero un uomo che non voleva altro per sé se non i rapporti con l'assoluto, l'assoluto che era rappresentato dalla morte, non dal pericolo, che era rappresentato da quella tragedia che portava l'uomo a incontrarsi nel massacro." (G. Ungaretti, cit., p. 520)

IL PORTO SEPOLTO: FOGLI SCRITTI IN TRINCEA

Da questa mutazione nascono le liriche della prima raccolta Il Porto Sepolto, pubblicato a Udine nel 1916, su interessamento di un ufficiale, Ettore Serra, rivista e pubblicata nuovamente nel 1919 con l'aggiunta di nuove liriche.

Negli anni successivi, Ungaretti continuò a intervenire sui testi fino all'edizione del 1931 e alla definitiva del 1942, che raccoglie gli scritti degli anni 1914-19, divisi in cinque sezioni: Ultime (con le poesie composte a Milano prima della guerra), Il Porto Sepolto, Naufragi, Girovago e Prime (con alcune liriche che indicano già il nuovo percorso poetico che caratterizzerà Sentimento del Tempo.

Si tratta di testi scritti in trincea, su fogli di ogni genere.

"A dire il vero, quei foglietti: cartoline in franchigia, margini di vecchi giornali, spazi bianchi di care lettere ricevute... - sui quali da due anni andavo facendo giorno per giorno il mio esame di coscienza, ficcandoli poi alla rinfusa nel tascapane, portandoli a vivere con me nel fango della trincea o facendomene capezzale nei rari riposi, non erano destinati a nessun pubblico. Non avevo idea del pubblico, e non avevo voluto la guerra e non partecipavo alla guerra per riscuotere applausi, avevo, ed ho oggi ancora, un rispetto tale d'un così grande sacrifizio com'è la guerra per un popolo, che ogni atto di vanità in simili circostanze mi sarebbe sembrato una profanazione - anche quello di chi, come noi, si fosse trovato in pieno nella mischia." (G. Ungaretti, cit., p. 519)

SCRITTURA POETICA E AUTOBIOGRAFIA

La data e il luogo indicati in calce danno alla raccolta l'apparente aspetto di un diario di guerra. Diario solo ‘apparente', tuttavia, perché in effetti la guerra non costituisce la materia del racconto, piuttosto la condizione dolorosamente necessaria che sollecita una riflessione sulla vita e sulla morte, sulla finitezza dell'esistenza umana che contrasta con tensione verso l'infinito.

"Nella mia poesia non c'è traccia d'odio per il nemico, né per nessuno: c'è la presa di coscienza della condizione umana, della fraternità degli uomini, nella sofferenza, dell'estrema precarietà della loro condizione. C'è volontà d'espressione, necessità d'espressione, c'è esaltazione, quell'esaltazione quasi selvaggia dello slancio vitale, dell'appetito di vivere, che è moltiplicato dalla prossimità e dalla quotidiana frequentazione della morte. Viviamo nella contraddizione." (G. Ungaretti, cit., p. 520)

La natura del legame tra scrittura poetica e autobiografia è proposta dallo stesso autore:

"Questo vecchio libro è un diario. L'autore non ha altra ambizione e crede che anche i grandi poeti non ne avessero altre se non quella di lasciare una sua bella biografia. Le sue poesie rappresentano dunque i suoi tormenti formali, ma vorrebbe si riconoscesse una buona volta che la forma lo tormenta solo perché la esige aderente alle variazioni del suo animo, e, se qualche progresso ha fatto come artista, vorrebbe che indicasse anche qualche perfezione raggiunta come uomo. Egli si è maturato uomo in mezzo ad avvenimenti straordinari ai quali non è stato mai estraneo. Senza mai negare le necessità universali della poesia, ha sempre pensato che, per lasciarsi immaginare, l'universale deve attraverso un attivo sentimento storico, accordarsi con la voce singolare del poeta." (G. Ungaretti, cit., p. 527-28)

Si tratta di una autobiografia trasfigurata, quindi, poiché i singoli eventi assumono un valore simbolico di avvicinamento dell'essere umano alla verità e al senso della vita. Indicativa in tal senso la lirica Soldati (Si sta / come d'autunno / sugli alberi / le foglie) in cui l'uso del pronome impersonale trasfigura l'esperienza contingente del soldato Ungaretti nella condizione esistenziale di precarietà propria di tutti gli esseri umani.

LO STILE

Per quanto riguarda gli aspetti espressivi, Ungaretti utilizza un lessico scarno ed essenziale, per lo più privo di aggettivi. La parola viene caricata di un intenso significato attraverso il procedimento dell'analogia, grazie ad accostamenti nuovi e imprevisti.

I versi sono corti, a volte costituiti da una sola parola-verso, privi di schemi metrici, e anche i testi sono molto brevi, tanto che si può parlare di una vera e propria poetica del frammento d'ispirazione vociana. Come per i Futuristi, la ricerca di una libertà assoluta dagli schemi espressivi si traduce nell'abolizione della rima e della punteggiatura. L'effetto è di una comunicazione immediata e diretta, non mediata, piuttosto evocata dall'uso dell'analogia.

LA REVISIONE DEI TESTI

Questo procedimento è evidente se si confrontano le due versioni di San Martino del Carso.

Prima redazione da Il Porto Sepolto, 1917:

Di queste case
non c'è rimasto
che qualche
brandello di muro
esposto all'aria
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
nei cimiteri
Ma nel cuore
nessuna croce manca

Innalzata
di sentinella
a che?
Sono morti
cuore malato

Perché io guardi al mio cuore
come a uno straziato paese
qualche volta


Redazione definitiva da Vita d'un Uomo, 1969:

Valloncello dell'Albero Isolato, il 27 agosto 1916

Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro

Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto

Ma nel cuore
nessuna croce manca

È il mio cuore
il paese più straziato


Nell'opera di revisione, oltre all'aggiunta della determinazione spazio-temporale, sotto al titolo, nelle prime due strofe tutti gli elementi descrittivi che rimandano in un certo senso a luoghi concreti (esposto all'aria e nei cimiteri) vengono eliminati, sostituiti da uno spazio vuoto. Ma l'intervento più drastico è quello operato sulle ultime due strofe dove la sintassi articolata, in cui è presente anche una domanda retorica, viene sostituita da un distico (che con il precedente forma una coppia di endecasillabi) in cui vengono mantenuti solo i due elementi lessicali essenziali: cuore e paese.


Fonte:
http://www.treccani.it/scuola/lezioni/lingua_e_letteratura/ungaretti_01.html

Mais:
http://www.comunedipignataro.it/?p=22190
http://ilpiccolo.gelocal.it/2013/03/18/una-foto-inedita-di-ungaretti-in-guerra-1.6722151
http://www.raicultura.it/letteratura/Ungaretti-e-la-poesia-in-trincea-634231b9.html http://docs.google.com/file/d/1LocRd2G3mn32PNFJhKMA0WXu6Z6nQz8x